Le riflessioni e le dispute che in materia di condizione animale dividono i filosofi greci hanno importanti riflessi nella elaborazione, da parte dei giuristi romani, dei modelli di relazione tra uomo e altri esseri animati. Anche se la giurisprudenza romana riconduce gli animali non umani al novero delle res, a causa della ‘elasticità’ classificatoria connessa all’uso del termine res, essa non può essere accostata alla dottrina moderna che considera l’essere non umano un mero oggetto di diritto. Ma neppure la giurisprudenza romana, che attribuisce una rilevanza giuridica al comportamento dell’animale non umano, come ad esempio accade per l’actio de pauperie o per l’animus revertendi degli animalia mansuefacta, può essere assimilata alla dottrina, oggi assai diffusa, secondo cui l’animale non umano è un soggetto di diritto. L’analisi delle riflessioni e delle dispute fra i filosofi greci in materia di condizione animale e quindi delle influenze sui giuristi romani permette di analizzare due grandi questioni fondamentali per la scienza giuridica. La prima questione è quella relativa al nesso antico tra filosofia greca e diritto romano, con particolare riguardo a una prospettiva di più ampio respiro sul piano generale rispetto al tema specifico della condizione giuridica dell’animale non umano. Su un piano generale tali riflessioni e dispute, connesse al tema della condizione giuridica dell’animale non umano, costituiscono le premesse della celebre enunciazione del ius naturale, come diritto che la natura insegna a tutti gli esseri animati, enunciazione formulata, nel terzo sec. d.C., dal giureconsulto romano Ulpiano, che si richiama però a idee espresse già dai filosofi greci, in particolare (ma non solo) da Pitagora e che i compilatori giustinianei pongono in apertura del Digesto (D. 1,1,1,3 [Ulp. 1 inst.]). Non avere tenuto adeguatamente conto della importanza giuridica di alcuni precedenti relativi alla idea di una ‘comunanza’ di diritto fra uomo e altri esseri animati, riconducibili dapprima alla filosofia greca e poi alla scienza giuridica romana, ha condotto parte considerevole della dottrina romanistica a mettere in ombra siffatta enunciazione, fino a ritenerla propria di scienze diverse da quella giuridica o addirittura a confinarla nel novero delle amenità. In realtà, la idea di un ius comune a tutti gli esseri animati non è importante sul piano giuridico (soltanto) in quanto enunciazione vagamente ‘animalistica’ o persino meramente ‘filantropica’. Essa è fondamentale in quanto costituisce una chiave di lettura utile, per certi aspetti necessaria, alla comprensione delle relazioni giuridiche tra uomo e uomo, uomo e altri esseri animati, uomo e ambiente. È quindi importante considerare con la massima attenzione che la giurisprudenza romana perviene da un tema specifico, sia pure essenziale, qual è la condizione giuridica dell’animale non umano, a una concezione generale del diritto con risultati importanti anche per il piano dell’intero ius civile. La seconda questione è quella relativa al nesso attuale tra scienza giuridica moderna e scienza giuridica antica, con particolare riguardo all’uso delle categorie dogmatico/sistematiche gaiano/giustinianee e/o pandettistiche. La scienza giuridica non si è ancora occupata, attraverso una prospettiva storica, della condizione giuridica degli animali non umani. Tale prospettiva, attraverso la considerazione delle riflessioni filosofiche e giuridiche antiche in tema di relazioni fra uomo e altri esseri animati, consente una visuale diversa rispetto a quella che può derivare alla scienza giuridica odierna dal quadro offerto dalle rigide categorie moderne di soggetto e di oggetto di diritto. La so-luzione della cosiddetta questione animale non passa, necessariamente, attraverso il modello antropocentrico della estensione dei diritti soggettivi e della soggettività giuridica agli ‘altri’ esseri animati. La prospettiva del sistema giuridico-religioso romano, di particolare interesse, sotto questo profilo, in quanto essa, scevra dai condizionamenti ideologici legati alle moderne categorie giuridiche di soggetto e di oggetto, risulta improntata sulla analisi e sulla rilevanza della natura dell’animale non umano e dunque sulle qualità da esso posseduto in vita, anziché sulle qualità, il cui esame presuppone la morte dell’animale, come avviene nelle moderne tassonomie zoologiche, attraverso una linea di continuità che può essere fatta risalire ad Aristotele.

Dall’animale vivo all’animale morto: modelli filosofico-giuridici di relazioni fra gli esseri animati / Onida, Pietro Paolo. - In: DIRITTO@STORIA. - ISSN 1825-0300. - 7:(2008), pp. 1-44.

Dall’animale vivo all’animale morto: modelli filosofico-giuridici di relazioni fra gli esseri animati

ONIDA, Pietro Paolo
2008-01-01

Abstract

Le riflessioni e le dispute che in materia di condizione animale dividono i filosofi greci hanno importanti riflessi nella elaborazione, da parte dei giuristi romani, dei modelli di relazione tra uomo e altri esseri animati. Anche se la giurisprudenza romana riconduce gli animali non umani al novero delle res, a causa della ‘elasticità’ classificatoria connessa all’uso del termine res, essa non può essere accostata alla dottrina moderna che considera l’essere non umano un mero oggetto di diritto. Ma neppure la giurisprudenza romana, che attribuisce una rilevanza giuridica al comportamento dell’animale non umano, come ad esempio accade per l’actio de pauperie o per l’animus revertendi degli animalia mansuefacta, può essere assimilata alla dottrina, oggi assai diffusa, secondo cui l’animale non umano è un soggetto di diritto. L’analisi delle riflessioni e delle dispute fra i filosofi greci in materia di condizione animale e quindi delle influenze sui giuristi romani permette di analizzare due grandi questioni fondamentali per la scienza giuridica. La prima questione è quella relativa al nesso antico tra filosofia greca e diritto romano, con particolare riguardo a una prospettiva di più ampio respiro sul piano generale rispetto al tema specifico della condizione giuridica dell’animale non umano. Su un piano generale tali riflessioni e dispute, connesse al tema della condizione giuridica dell’animale non umano, costituiscono le premesse della celebre enunciazione del ius naturale, come diritto che la natura insegna a tutti gli esseri animati, enunciazione formulata, nel terzo sec. d.C., dal giureconsulto romano Ulpiano, che si richiama però a idee espresse già dai filosofi greci, in particolare (ma non solo) da Pitagora e che i compilatori giustinianei pongono in apertura del Digesto (D. 1,1,1,3 [Ulp. 1 inst.]). Non avere tenuto adeguatamente conto della importanza giuridica di alcuni precedenti relativi alla idea di una ‘comunanza’ di diritto fra uomo e altri esseri animati, riconducibili dapprima alla filosofia greca e poi alla scienza giuridica romana, ha condotto parte considerevole della dottrina romanistica a mettere in ombra siffatta enunciazione, fino a ritenerla propria di scienze diverse da quella giuridica o addirittura a confinarla nel novero delle amenità. In realtà, la idea di un ius comune a tutti gli esseri animati non è importante sul piano giuridico (soltanto) in quanto enunciazione vagamente ‘animalistica’ o persino meramente ‘filantropica’. Essa è fondamentale in quanto costituisce una chiave di lettura utile, per certi aspetti necessaria, alla comprensione delle relazioni giuridiche tra uomo e uomo, uomo e altri esseri animati, uomo e ambiente. È quindi importante considerare con la massima attenzione che la giurisprudenza romana perviene da un tema specifico, sia pure essenziale, qual è la condizione giuridica dell’animale non umano, a una concezione generale del diritto con risultati importanti anche per il piano dell’intero ius civile. La seconda questione è quella relativa al nesso attuale tra scienza giuridica moderna e scienza giuridica antica, con particolare riguardo all’uso delle categorie dogmatico/sistematiche gaiano/giustinianee e/o pandettistiche. La scienza giuridica non si è ancora occupata, attraverso una prospettiva storica, della condizione giuridica degli animali non umani. Tale prospettiva, attraverso la considerazione delle riflessioni filosofiche e giuridiche antiche in tema di relazioni fra uomo e altri esseri animati, consente una visuale diversa rispetto a quella che può derivare alla scienza giuridica odierna dal quadro offerto dalle rigide categorie moderne di soggetto e di oggetto di diritto. La so-luzione della cosiddetta questione animale non passa, necessariamente, attraverso il modello antropocentrico della estensione dei diritti soggettivi e della soggettività giuridica agli ‘altri’ esseri animati. La prospettiva del sistema giuridico-religioso romano, di particolare interesse, sotto questo profilo, in quanto essa, scevra dai condizionamenti ideologici legati alle moderne categorie giuridiche di soggetto e di oggetto, risulta improntata sulla analisi e sulla rilevanza della natura dell’animale non umano e dunque sulle qualità da esso posseduto in vita, anziché sulle qualità, il cui esame presuppone la morte dell’animale, come avviene nelle moderne tassonomie zoologiche, attraverso una linea di continuità che può essere fatta risalire ad Aristotele.
2008
Dall’animale vivo all’animale morto: modelli filosofico-giuridici di relazioni fra gli esseri animati / Onida, Pietro Paolo. - In: DIRITTO@STORIA. - ISSN 1825-0300. - 7:(2008), pp. 1-44.
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