L’archeologia, da sempre, è stata la materia che ha innescato nuove domande e altrettante nuove risposte. Nel momento in cui l’uomo riscopre il passato, in quel preciso istante nasce la revisione del presente. Oggi, agli inizi del nuovo millennio l’archeologia diventa una disciplina complessa in cui, come ci ricordano le interpretazioni di Jacques Le Goff e di Michel Foucault, si iscrive tutta la dialettica tra la traccia e il significato e, di conseguenza, tra memoria, istituzioni e potere. Parlare di archeologia significa ancora indagare il tempo, la storia, l’uomo e i suoi disagi. L’archeologia del nostro tempo non è più una materia proporzionale, non ci offre le regole per il buon funzionamento del mondo; ritorna come processo d’indagine che vive di scavi, di sottrazioni, di ripensamenti e non propone più le certezze, le regole, i principi assoluti, ma si stratifica dentro un territorio da rivelare e disvelare. Il titolo Archeologie di questo numero della rivista allude alle nuove relazioni con il tempo espresse nella contemporaneità attraverso alienazione, distacco, perdita, scoperta. I progetti selezionati affondando le loro radici nei molti miti di cui si è nutrita la Modernità, propongono infatti percorsi diversificati che si rivolgono a un senso più ampio di memoria, di archeologia, di rudere. Messo da parte ogni retaggio romantico, in cui il tempo richiedeva la perdita come sollievo e fuga, oggi ci si interroga ancora sul distacco, sull’oblio e sulla dimenticanza come pressante bisogno di ancorarsi a qualcosa di solido, di non sfuggente. In questo percorso vengono individuate alcune possibili archeologie del nostro tempo di cui l’architettura, in quanto attività di trasformazione, si fa interprete. Dalle architetture selezionate questa ricerca emerge con evidenza, declinata in forme diverse ma tutte rivolte a considerare l’archeologia come materia in grado di offrire risposte in un rapporto dialettico tra tempo, luogo e spazio. Mettendo a confronto l’opera di Aires Mateus & Associados, di Paulo David, di Fernando Menis e di Alvaro Siza, ad esempio, scopriamo atteggiamenti progettuali diversi ma inscrivibili nella poetica dello scavo e della massività. Il Centro Cultural di Sines (54), di Aires Mateus è un intervento che esalta la chiusura e la compattezza, il vuoto e le relazioni della città, come un’azione di sottrazione archeologica. Sulla stessa filosofia, che unisce la compattezza alla ricchezza spaziale, troviamo il lavoro di Paulo David per L’Arts Centre, Casas da Mudas a Calheta, nell’isola di Madeira (60). Situato su una rupe, di fronte all’Oceano Atlantico, l’edificio si fonde nel paesaggio e scava la roccia sino a integrarsi come in un luogo di culto. Il progetto del Magma Arts and Congress Center di Fernando Menis/Amp a Tenerife (68) invece mette in campo un’archeologia primitiva, prossima a una caverna primordiale, dove la costruzione vive come prolungamento di un tempo arcaico. Nell’Iberê Camargo Museum di Alvaro Siza a Porto Alegre (74), le due dimensioni del monolite e della natura arcaica convivono. Il volume è modellato per entrare in contatto-conflitto con il paesaggio naturale in cui s’insedia. I territori sempre più complessi del nostro tempo ci portano, infine, ad analizzare le aree di bordo, escluse o di margine, come le cave dismesse o i siti che conservano in sé una memoria archeologica come nelle opere di Brückner & Brückner e di Giovanni Maciocco. Nel Parco Paleobotanico dell’Anglona, in Sardegna (82), Maciocco conserva i resti di una foresta pietrificata. In una cava abbandonata, Brückner & Brückner realizzano il Granit Museum a Hauzenberg (88) come parte integrante delle gradonate scavate, raggiungendo la piena compenetrazione tra artificio e natura.
Archeolgie/Archaeologies / Marotta, Antonello. - In: L'INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI. - ISSN 0579-4900. - 1:(2010), pp. 4-99.
Archeolgie/Archaeologies
MAROTTA, Antonello
2010-01-01
Abstract
L’archeologia, da sempre, è stata la materia che ha innescato nuove domande e altrettante nuove risposte. Nel momento in cui l’uomo riscopre il passato, in quel preciso istante nasce la revisione del presente. Oggi, agli inizi del nuovo millennio l’archeologia diventa una disciplina complessa in cui, come ci ricordano le interpretazioni di Jacques Le Goff e di Michel Foucault, si iscrive tutta la dialettica tra la traccia e il significato e, di conseguenza, tra memoria, istituzioni e potere. Parlare di archeologia significa ancora indagare il tempo, la storia, l’uomo e i suoi disagi. L’archeologia del nostro tempo non è più una materia proporzionale, non ci offre le regole per il buon funzionamento del mondo; ritorna come processo d’indagine che vive di scavi, di sottrazioni, di ripensamenti e non propone più le certezze, le regole, i principi assoluti, ma si stratifica dentro un territorio da rivelare e disvelare. Il titolo Archeologie di questo numero della rivista allude alle nuove relazioni con il tempo espresse nella contemporaneità attraverso alienazione, distacco, perdita, scoperta. I progetti selezionati affondando le loro radici nei molti miti di cui si è nutrita la Modernità, propongono infatti percorsi diversificati che si rivolgono a un senso più ampio di memoria, di archeologia, di rudere. Messo da parte ogni retaggio romantico, in cui il tempo richiedeva la perdita come sollievo e fuga, oggi ci si interroga ancora sul distacco, sull’oblio e sulla dimenticanza come pressante bisogno di ancorarsi a qualcosa di solido, di non sfuggente. In questo percorso vengono individuate alcune possibili archeologie del nostro tempo di cui l’architettura, in quanto attività di trasformazione, si fa interprete. Dalle architetture selezionate questa ricerca emerge con evidenza, declinata in forme diverse ma tutte rivolte a considerare l’archeologia come materia in grado di offrire risposte in un rapporto dialettico tra tempo, luogo e spazio. Mettendo a confronto l’opera di Aires Mateus & Associados, di Paulo David, di Fernando Menis e di Alvaro Siza, ad esempio, scopriamo atteggiamenti progettuali diversi ma inscrivibili nella poetica dello scavo e della massività. Il Centro Cultural di Sines (54), di Aires Mateus è un intervento che esalta la chiusura e la compattezza, il vuoto e le relazioni della città, come un’azione di sottrazione archeologica. Sulla stessa filosofia, che unisce la compattezza alla ricchezza spaziale, troviamo il lavoro di Paulo David per L’Arts Centre, Casas da Mudas a Calheta, nell’isola di Madeira (60). Situato su una rupe, di fronte all’Oceano Atlantico, l’edificio si fonde nel paesaggio e scava la roccia sino a integrarsi come in un luogo di culto. Il progetto del Magma Arts and Congress Center di Fernando Menis/Amp a Tenerife (68) invece mette in campo un’archeologia primitiva, prossima a una caverna primordiale, dove la costruzione vive come prolungamento di un tempo arcaico. Nell’Iberê Camargo Museum di Alvaro Siza a Porto Alegre (74), le due dimensioni del monolite e della natura arcaica convivono. Il volume è modellato per entrare in contatto-conflitto con il paesaggio naturale in cui s’insedia. I territori sempre più complessi del nostro tempo ci portano, infine, ad analizzare le aree di bordo, escluse o di margine, come le cave dismesse o i siti che conservano in sé una memoria archeologica come nelle opere di Brückner & Brückner e di Giovanni Maciocco. Nel Parco Paleobotanico dell’Anglona, in Sardegna (82), Maciocco conserva i resti di una foresta pietrificata. In una cava abbandonata, Brückner & Brückner realizzano il Granit Museum a Hauzenberg (88) come parte integrante delle gradonate scavate, raggiungendo la piena compenetrazione tra artificio e natura.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.