Il saggio, nel partire dalla constatazione della rottura delle relazioni fra uomo e ambiente determinata dai nuovi modi di vivere lo spazio e il tempo introdotti dalla modernità e accelerati dagli effetti della globalizzazione, ritiene che sia importante, per ritornare a prendersi cura degli ambienti e dei territori che ci circondano, compiere una nuova operazione di appaesamento: trasformare quel territorio che sentiamo estraneo, come un corpo da cui ci siamo separati, scollati, in un cosmo nuovo di cui riconoscerci e sentirci parte. È all’interno di questo orizzonte di “ritessi tura di senso” che i segni che la storia ha depositato sul territorio acquisiscono un ruolo importante. Proprio perché la loro presenza ci mette in contatto con lo spessore del tempo che il territorio contiene essi potrebbero aiutarci a capire che il territorio non è un suolo inanimato, ma un “ambiente intelligente”. Un ambiente che contiene memorie, qualità e aspetti sepolti che potrebbero aiutarci a ritrovare e liberare presenze nascoste che avevamo dimenticato; riaprire sorgenti che avevamo seppellito; estrarre perle preziose e rare, frammenti dal mucchio di rovine del passato, che potrebbero contribuire a nutrire, dissetare, ripensare il nostro presente. Nel saggio, tuttavia si sostiene che perché questo possa avvenire occorre trovare strumenti nuovi attraverso cui far rivivere rigogliosamente quei monumenti imbalsamati e chiusi su sé stessi, che oggi non sappiamo più interrogare; andare oltre le immagini e trasformare “questi segni muti” in veri e propri “segni parlanti” da decifrare, restituendogli quei significati che sono stati erosi, in quanto superflui o marginali, dall’usura dell’abitudine, dall’allentamento della memoria storica e dalla pratica delle generalizzazioni scientifiche. E soprattutto non limitarsi a costruire luoghi di imbalsamazione e di conservazione, ma realizzare situazioni e ambienti in cui creare forme di conoscenza vitali, capaci: di “accendere la miccia esplosiva riposta nel già stato”, di fornire risorse di senso, di darci energia e motivazioni, di lanciare metafore comunicative in grado di sgelare e di rimettere in moto la passione collettiva, di spingere ad amare, ad agire e a fare. È all’interno di questa cornice di riferimenti che si inquadra una particolare esperienza di ricerca-azione “la strada che parla”, che viene raccontata nel testo.

Ogni cosa è illuminata. Decifrare le sopravvivenze del passato per ritornare a prendersi cura dei territori contemporanei / Decandia, Lidia. - In: CRIOS. - ISSN 2279-8986. - 6:(2013), pp. 21-32.

Ogni cosa è illuminata. Decifrare le sopravvivenze del passato per ritornare a prendersi cura dei territori contemporanei

DECANDIA, Lidia
2013-01-01

Abstract

Il saggio, nel partire dalla constatazione della rottura delle relazioni fra uomo e ambiente determinata dai nuovi modi di vivere lo spazio e il tempo introdotti dalla modernità e accelerati dagli effetti della globalizzazione, ritiene che sia importante, per ritornare a prendersi cura degli ambienti e dei territori che ci circondano, compiere una nuova operazione di appaesamento: trasformare quel territorio che sentiamo estraneo, come un corpo da cui ci siamo separati, scollati, in un cosmo nuovo di cui riconoscerci e sentirci parte. È all’interno di questo orizzonte di “ritessi tura di senso” che i segni che la storia ha depositato sul territorio acquisiscono un ruolo importante. Proprio perché la loro presenza ci mette in contatto con lo spessore del tempo che il territorio contiene essi potrebbero aiutarci a capire che il territorio non è un suolo inanimato, ma un “ambiente intelligente”. Un ambiente che contiene memorie, qualità e aspetti sepolti che potrebbero aiutarci a ritrovare e liberare presenze nascoste che avevamo dimenticato; riaprire sorgenti che avevamo seppellito; estrarre perle preziose e rare, frammenti dal mucchio di rovine del passato, che potrebbero contribuire a nutrire, dissetare, ripensare il nostro presente. Nel saggio, tuttavia si sostiene che perché questo possa avvenire occorre trovare strumenti nuovi attraverso cui far rivivere rigogliosamente quei monumenti imbalsamati e chiusi su sé stessi, che oggi non sappiamo più interrogare; andare oltre le immagini e trasformare “questi segni muti” in veri e propri “segni parlanti” da decifrare, restituendogli quei significati che sono stati erosi, in quanto superflui o marginali, dall’usura dell’abitudine, dall’allentamento della memoria storica e dalla pratica delle generalizzazioni scientifiche. E soprattutto non limitarsi a costruire luoghi di imbalsamazione e di conservazione, ma realizzare situazioni e ambienti in cui creare forme di conoscenza vitali, capaci: di “accendere la miccia esplosiva riposta nel già stato”, di fornire risorse di senso, di darci energia e motivazioni, di lanciare metafore comunicative in grado di sgelare e di rimettere in moto la passione collettiva, di spingere ad amare, ad agire e a fare. È all’interno di questa cornice di riferimenti che si inquadra una particolare esperienza di ricerca-azione “la strada che parla”, che viene raccontata nel testo.
2013
Ogni cosa è illuminata. Decifrare le sopravvivenze del passato per ritornare a prendersi cura dei territori contemporanei / Decandia, Lidia. - In: CRIOS. - ISSN 2279-8986. - 6:(2013), pp. 21-32.
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