Giustizia sostanzialista e giustizia formalista: la prima è ‘antica’, la seconda ‘moderna’. In una società tradizionale, ancora priva della separazione tra diritto e morale, l’ethosviolato richiede di essere rapidamente ripristinato. Che ciò avvenga per mezzo di una ritorsione privata o tramite un ‘giudizio’, l’importante è disporre di un capro espiatorio da sacrificare sull’altare dell’Ordine del gruppo. Non vi è problema di prove e cautele procedurali, perché la sentenza e la pena sono note fin dall’inizio: esse sono in qualche modo consustanziali alla violazione stessa. Lo si può vedere ancora oggi nei regimi politici in senso lato integralisti, dove esiste una contaminazione sistematica tra diritto e morale sociale ‘ufficiale’: nei luoghi dove una sola cosa può essere detta, l’esibizione di facciata della razionalità procedurale serve soltanto ad avallare giuridicamente ciò che è già stato deciso politicamente. Noi moderni da tempo cerchiamo (almeno pubblicamente) di ripudiare questa concezione di giustizia. Non volendo (o non potendo) sapere cosa sia ‘giusto’ in senso sostanziale, abbiamo escogitato complesse metodiche procedurali-formali volte a produrre la cosiddetta ‘verità processuale’; pallido riflesso – ma l’unico umanamente accessibile – dell’idea di giustizia. In altri termini, mentre ci teniamo a distanza dall’oggetto pericoloso e desiderato, tentiamo tuttavia nostalgicamente di comportarcicome sefosse ancora raggiungibile; sia pure per altre vie. Situazione spesso spiacevole e problematica, almeno sul piano psicologico. Se infatti dal punto di vista istituzionale e ordinamentale il passaggio dalla prima alla seconda nozione di giustizia appare come un’evoluzione improbabilmente reversibile, a livello psicologico individuale i due modelli spesso convivono ancora conflittualmente: si pensi al dilemma tra ‘cosa è giusto fare’ e ‘cosa ho il diritto di fare’. La nozione sostanzialista di giustizia tenta ancora di far valere i propri diritti contro quella formalista; il sottofondo istintuale dell’esperienza giuridica cerca di rompere gli argini di razionalità – tutto sommato piuttosto recenti – entro cui è stato imbrigliato. Anche la nostra cultura appartiene da tempo al gruppo di quelle che hanno deciso di delegare la gestione dei conflitti sociali al diritto e ai suoi strumenti formali di decisione delle controversie. Non importa se dicivilo dicommon law, se ‘accusatori’ o ‘inquisitori’, i nostri sistemi giuridici ci sembrano i soli capaci di garantire la pace e l’ordine, scongiurando al tempo stesso la necessità di ricorrere a interventi di controllo eccessivamente repressivi, o addirittura totalitari.

Lo Spazio della mediazione / Foddai, Giovanna Maria Antonietta; Cosi, Giovanni. - In: DIRITTO@STORIA. - ISSN 1825-0300. - 2(2003).

Lo Spazio della mediazione

Foddai, Giovanna Maria Antonietta;
2003-01-01

Abstract

Giustizia sostanzialista e giustizia formalista: la prima è ‘antica’, la seconda ‘moderna’. In una società tradizionale, ancora priva della separazione tra diritto e morale, l’ethosviolato richiede di essere rapidamente ripristinato. Che ciò avvenga per mezzo di una ritorsione privata o tramite un ‘giudizio’, l’importante è disporre di un capro espiatorio da sacrificare sull’altare dell’Ordine del gruppo. Non vi è problema di prove e cautele procedurali, perché la sentenza e la pena sono note fin dall’inizio: esse sono in qualche modo consustanziali alla violazione stessa. Lo si può vedere ancora oggi nei regimi politici in senso lato integralisti, dove esiste una contaminazione sistematica tra diritto e morale sociale ‘ufficiale’: nei luoghi dove una sola cosa può essere detta, l’esibizione di facciata della razionalità procedurale serve soltanto ad avallare giuridicamente ciò che è già stato deciso politicamente. Noi moderni da tempo cerchiamo (almeno pubblicamente) di ripudiare questa concezione di giustizia. Non volendo (o non potendo) sapere cosa sia ‘giusto’ in senso sostanziale, abbiamo escogitato complesse metodiche procedurali-formali volte a produrre la cosiddetta ‘verità processuale’; pallido riflesso – ma l’unico umanamente accessibile – dell’idea di giustizia. In altri termini, mentre ci teniamo a distanza dall’oggetto pericoloso e desiderato, tentiamo tuttavia nostalgicamente di comportarcicome sefosse ancora raggiungibile; sia pure per altre vie. Situazione spesso spiacevole e problematica, almeno sul piano psicologico. Se infatti dal punto di vista istituzionale e ordinamentale il passaggio dalla prima alla seconda nozione di giustizia appare come un’evoluzione improbabilmente reversibile, a livello psicologico individuale i due modelli spesso convivono ancora conflittualmente: si pensi al dilemma tra ‘cosa è giusto fare’ e ‘cosa ho il diritto di fare’. La nozione sostanzialista di giustizia tenta ancora di far valere i propri diritti contro quella formalista; il sottofondo istintuale dell’esperienza giuridica cerca di rompere gli argini di razionalità – tutto sommato piuttosto recenti – entro cui è stato imbrigliato. Anche la nostra cultura appartiene da tempo al gruppo di quelle che hanno deciso di delegare la gestione dei conflitti sociali al diritto e ai suoi strumenti formali di decisione delle controversie. Non importa se dicivilo dicommon law, se ‘accusatori’ o ‘inquisitori’, i nostri sistemi giuridici ci sembrano i soli capaci di garantire la pace e l’ordine, scongiurando al tempo stesso la necessità di ricorrere a interventi di controllo eccessivamente repressivi, o addirittura totalitari.
2003
Lo Spazio della mediazione / Foddai, Giovanna Maria Antonietta; Cosi, Giovanni. - In: DIRITTO@STORIA. - ISSN 1825-0300. - 2(2003).
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