“Il buon gusto d’aver cattivo gusto ci ha regalato uno stomaco di struzzo”: così Fausto Melotti, recensendo su Domus la mostra di Duchamp alla Schwartz nel 1964, echeggiava ironicamente lo scetticismo del pubblico verso una rivoluzione artistica ancora - dopo cinquant’anni - per tanti versi incompresa. Un atteggiamento ampiamente diffuso anche fra gli intellettuali italiani, sul quale hanno certo pesato, nel secondo dopoguerra, la condanna lukacsiana dell’avanguardia e l’irrigidimento ideologico del PCI nella diatriba astratto/figurativo, così come l’eredità del classicismo e il rapporto conflittuale con il modernismo prima e il postmodernismo poi, vissuti in parte come un’americanizzazione del campo culturale. Significativa la sostanziale opposizione di Pasolini all’arte contemporanea che, abbandonata la grande tradizione italiana ed europea, gli appariva sterile, incapace di generare nuova storia (“Mi lasci amare Masaccio e Bach, e detestare la musica contemporanea e la pittura astratta”, su Vie Nuove, 1962). Pur faticosamente pacificata, questa guerra culturale ha determinato una frattura insanabile fra arti visive e letteratura, indebolendo l’alleanza fra artisti e umanisti che durava sin dalla fine dell’età medievale. Il saggio ripercorrerà la storia di questo conflitto, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, rintracciandone i protagonisti, le istanze, le eclatanti eccezioni (Italo Calvino o, ancor prima, il Gruppo 63) e le ancor più eclatanti manifestazioni (si pensi all’esempio parossistico del Padiglione Italia alla 54a Biennale di Venezia).
L’élite ostile. La battaglia per l’arte contemporanea in Italia (1948-1974) / Camarda, Antonella. - In: PIANO B. - ISSN 2531-9876. - 2017. 1. Le forme del conflitto:(2017), pp. 1-27.
L’élite ostile. La battaglia per l’arte contemporanea in Italia (1948-1974)
CAMARDA, Antonella
2017-01-01
Abstract
“Il buon gusto d’aver cattivo gusto ci ha regalato uno stomaco di struzzo”: così Fausto Melotti, recensendo su Domus la mostra di Duchamp alla Schwartz nel 1964, echeggiava ironicamente lo scetticismo del pubblico verso una rivoluzione artistica ancora - dopo cinquant’anni - per tanti versi incompresa. Un atteggiamento ampiamente diffuso anche fra gli intellettuali italiani, sul quale hanno certo pesato, nel secondo dopoguerra, la condanna lukacsiana dell’avanguardia e l’irrigidimento ideologico del PCI nella diatriba astratto/figurativo, così come l’eredità del classicismo e il rapporto conflittuale con il modernismo prima e il postmodernismo poi, vissuti in parte come un’americanizzazione del campo culturale. Significativa la sostanziale opposizione di Pasolini all’arte contemporanea che, abbandonata la grande tradizione italiana ed europea, gli appariva sterile, incapace di generare nuova storia (“Mi lasci amare Masaccio e Bach, e detestare la musica contemporanea e la pittura astratta”, su Vie Nuove, 1962). Pur faticosamente pacificata, questa guerra culturale ha determinato una frattura insanabile fra arti visive e letteratura, indebolendo l’alleanza fra artisti e umanisti che durava sin dalla fine dell’età medievale. Il saggio ripercorrerà la storia di questo conflitto, dal secondo dopoguerra ai giorni nostri, rintracciandone i protagonisti, le istanze, le eclatanti eccezioni (Italo Calvino o, ancor prima, il Gruppo 63) e le ancor più eclatanti manifestazioni (si pensi all’esempio parossistico del Padiglione Italia alla 54a Biennale di Venezia).I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.