Edizione critica con apparato genetico del romanzo L'edera di Grazia Deledda. Molte bibliografie di edizioni famose riportano come data di pubblicazione dell’opera il 1906. Secondo lo studio condotto e riportato nella edizione critica, risulta invece che la Deledda abbia iniziato a redigere il manoscritto molto probabilmente nella primavera del 1905. Il periodo di gestazione e di rielaborazione dell’opera si protrasse, dunque e prevedibilmente, per tutto il 1906. A seguito delle richieste e delle sollecitazioni che giungevano dal mondo editoriale tedesco e francese, poi, ella inviò il manoscritto (o più probabilmente un dattiloscritto) del suo «romanzo sardo» prima alla “Deutsche Rundschau” di Berlino (poi in volume per i tipi della Daetel sempre di Berlino) e successivamente alla “Revue Bleue” di Parigi (e, probabilmente, anche ad una rivista argentina), perché fosse pubblicato nel 1907, nel lasso di tempo in cui la “Nuova Antologia” di Roma editava L’ombra del passato. Dopo d’allora (verosimilmente nei mesi di novembre o dicembre dello stesso anno), la scrittrice nuorese consegnò L’edera – riveduta in molte sue parti – alla “Nuova Antologia”, rivista diretta da Maggiorino Ferraris che la pubblicò, per la prima volta in lingua italiana, dal primo gennaio al sedici febbraio del 1908 e che ripropose in volume nello stesso anno con la “Biblioteca Romantica” (Tipografia Carlo Colombo). L’edera incontrò subito il favore del grande pubblico e l’edizione Colombo registrò, nel giro di due settimane, una tiratura di settemila copie (novemila dopo qualche mese), conoscendo nello stesso anno la prima traduzione in ungherese a cura di Sebestyén Károlyné. L’anno successivo fu pubblicata dalla Hachette di Parigi (tradotta dallo stesso Lécuyer che aveva curato l’edizione della “Revue Bleue”), in spagnolo dalla Biblioteca La Nación di Buenos Aires, in russo, a puntate, dalla “Sovremennyj mir” di Mosca e, dopo la riduzione drammaturgica del testo (realizzata nell’estate del 1908 a Santa Marinella con la collaborazione di Camillo Antona Traversi), il 6 febbraio venne rappresentata al Teatro Argentina di Roma e replicata per dieci sere consecutive. Da un ulteriore studio stratigrafico e comparativo condotto col metodo del campione, per altro, risulta che le versioni licenziate dalla “Deutsche Rundschau” e dalla “Revue Bleue” coincidono, in non pochi luoghi del testo, con la primitiva campagna correttoria dell’autografo conservato nella Sala Manoscritti della Biblioteca Universitaria di Sassari (Fondo Manoscritti, Ms.237). L’edera è di fatto il racconto di un solo personaggio, Annesa, la «figlia d’anima», la giovane serva che si innamora del proprio padroncino. La sua maturazione avviene significativamente sulla «via di Damasco», dalla cecità del male alla luce del bene, implicata nella pragmatica di esistenti immodificabili nei loro ruoli e dietro le loro tragiche maschere. La coscienza del peccato che si accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell’espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle passioni e l’imponderabile portata dei suoi effetti, l’ineluttabilità dell’ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l’esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfatata e dolente, «gettata» in un mondo unico, incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell’esistenza assoluta.
L'edera / Manca, Dino Gesuino. - 1:(2010), pp. 1-478.
L'edera
MANCA, Dino Gesuino
2010-01-01
Abstract
Edizione critica con apparato genetico del romanzo L'edera di Grazia Deledda. Molte bibliografie di edizioni famose riportano come data di pubblicazione dell’opera il 1906. Secondo lo studio condotto e riportato nella edizione critica, risulta invece che la Deledda abbia iniziato a redigere il manoscritto molto probabilmente nella primavera del 1905. Il periodo di gestazione e di rielaborazione dell’opera si protrasse, dunque e prevedibilmente, per tutto il 1906. A seguito delle richieste e delle sollecitazioni che giungevano dal mondo editoriale tedesco e francese, poi, ella inviò il manoscritto (o più probabilmente un dattiloscritto) del suo «romanzo sardo» prima alla “Deutsche Rundschau” di Berlino (poi in volume per i tipi della Daetel sempre di Berlino) e successivamente alla “Revue Bleue” di Parigi (e, probabilmente, anche ad una rivista argentina), perché fosse pubblicato nel 1907, nel lasso di tempo in cui la “Nuova Antologia” di Roma editava L’ombra del passato. Dopo d’allora (verosimilmente nei mesi di novembre o dicembre dello stesso anno), la scrittrice nuorese consegnò L’edera – riveduta in molte sue parti – alla “Nuova Antologia”, rivista diretta da Maggiorino Ferraris che la pubblicò, per la prima volta in lingua italiana, dal primo gennaio al sedici febbraio del 1908 e che ripropose in volume nello stesso anno con la “Biblioteca Romantica” (Tipografia Carlo Colombo). L’edera incontrò subito il favore del grande pubblico e l’edizione Colombo registrò, nel giro di due settimane, una tiratura di settemila copie (novemila dopo qualche mese), conoscendo nello stesso anno la prima traduzione in ungherese a cura di Sebestyén Károlyné. L’anno successivo fu pubblicata dalla Hachette di Parigi (tradotta dallo stesso Lécuyer che aveva curato l’edizione della “Revue Bleue”), in spagnolo dalla Biblioteca La Nación di Buenos Aires, in russo, a puntate, dalla “Sovremennyj mir” di Mosca e, dopo la riduzione drammaturgica del testo (realizzata nell’estate del 1908 a Santa Marinella con la collaborazione di Camillo Antona Traversi), il 6 febbraio venne rappresentata al Teatro Argentina di Roma e replicata per dieci sere consecutive. Da un ulteriore studio stratigrafico e comparativo condotto col metodo del campione, per altro, risulta che le versioni licenziate dalla “Deutsche Rundschau” e dalla “Revue Bleue” coincidono, in non pochi luoghi del testo, con la primitiva campagna correttoria dell’autografo conservato nella Sala Manoscritti della Biblioteca Universitaria di Sassari (Fondo Manoscritti, Ms.237). L’edera è di fatto il racconto di un solo personaggio, Annesa, la «figlia d’anima», la giovane serva che si innamora del proprio padroncino. La sua maturazione avviene significativamente sulla «via di Damasco», dalla cecità del male alla luce del bene, implicata nella pragmatica di esistenti immodificabili nei loro ruoli e dietro le loro tragiche maschere. La coscienza del peccato che si accompagna al tormento della colpa e alla necessità dell’espiazione e del castigo, la pulsione primordiale delle passioni e l’imponderabile portata dei suoi effetti, l’ineluttabilità dell’ingiustizia e la fatalità del suo contrario, segnano l’esperienza del vivere di una umanità primitiva, malfatata e dolente, «gettata» in un mondo unico, incontaminato, di ancestrale e paradisiaca bellezza, spazio del mistero e dell’esistenza assoluta.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.