La vita nelle città italiane è recentemente diventata un’affannosa “corsa ad ostacoli” alla quale solo pochi possono realmente pensare di partecipare pienamente, mentre gran parte della popolazione è sempre più collocata ai margini della vita sociale. Da qui a “sentirsi estranei nella propria città” il passo è breve. Il senso di estraneità e l’essere straniera/o vanno tenuti distinti, ma sono condizioni destinate a mescolarsi perché rappresentano l’essenza stessa dell’attuale condizione umana per una duplice ragione: gli individui sono sempre più nomadi, e ciò impone rotture e ricomposizioni con i diversi territori ai quali essi appartengono ma solo provvisoriamente; i luoghi, anzitutto quelli urbani, sono diventati estranei alla maggior parte dei cittadini, tanto in termini organizzativi e di accesso alle risorse, quanto per la compresenza di contenuti sociali che possono diventare muri invisibili difficilmente abbattibili. In conseguenza di questa duplicità, anche il punto di vista del presente volume è doppio: la città, nella sua frammentarietà, è diventata estranea a coloro che la abitano, specie se stranieri, e questa condizione si può manifestare in termini non pacificanti; le donne sono quei soggetti sociali che più di altri incontrano difficoltà perché c’è uno stretto rapporto tra le loro singole pratiche urbane - necessariamente mobili - e dis-organizzazione della città diffusa in un territorio vasto, trasformazioni dell’organizzazione del lavoro e della produzione, dispersione dei servizi. Va detto, però, che la maggior parte delle donne esprime una capacità di resistenza a tutti gli ostacoli che si frappongono tra loro e la complessiva vita urbana. Si tratta di una resistenza attiva, non soltanto perché le donne continuano a essere l’anello principale di congiunzione tra privato e pubblico, ma soprattutto perché devono tenere insieme le loro varie esperienze dentro e fuori la famiglia, nei luoghi di lavoro e dello svago, negli attraversamenti quotidiani. Donne costrette a tenere i fili (senza romperli) che costituiscono la trama di tante vite.
Estraneità delle città e giochi di resistenza. Perché l’Italia non è più il Bel Paese? / Mazzette, Antonietta. - 1561.77:(2009), pp. 203-240.
Estraneità delle città e giochi di resistenza. Perché l’Italia non è più il Bel Paese?
MAZZETTE, Antonietta
2009-01-01
Abstract
La vita nelle città italiane è recentemente diventata un’affannosa “corsa ad ostacoli” alla quale solo pochi possono realmente pensare di partecipare pienamente, mentre gran parte della popolazione è sempre più collocata ai margini della vita sociale. Da qui a “sentirsi estranei nella propria città” il passo è breve. Il senso di estraneità e l’essere straniera/o vanno tenuti distinti, ma sono condizioni destinate a mescolarsi perché rappresentano l’essenza stessa dell’attuale condizione umana per una duplice ragione: gli individui sono sempre più nomadi, e ciò impone rotture e ricomposizioni con i diversi territori ai quali essi appartengono ma solo provvisoriamente; i luoghi, anzitutto quelli urbani, sono diventati estranei alla maggior parte dei cittadini, tanto in termini organizzativi e di accesso alle risorse, quanto per la compresenza di contenuti sociali che possono diventare muri invisibili difficilmente abbattibili. In conseguenza di questa duplicità, anche il punto di vista del presente volume è doppio: la città, nella sua frammentarietà, è diventata estranea a coloro che la abitano, specie se stranieri, e questa condizione si può manifestare in termini non pacificanti; le donne sono quei soggetti sociali che più di altri incontrano difficoltà perché c’è uno stretto rapporto tra le loro singole pratiche urbane - necessariamente mobili - e dis-organizzazione della città diffusa in un territorio vasto, trasformazioni dell’organizzazione del lavoro e della produzione, dispersione dei servizi. Va detto, però, che la maggior parte delle donne esprime una capacità di resistenza a tutti gli ostacoli che si frappongono tra loro e la complessiva vita urbana. Si tratta di una resistenza attiva, non soltanto perché le donne continuano a essere l’anello principale di congiunzione tra privato e pubblico, ma soprattutto perché devono tenere insieme le loro varie esperienze dentro e fuori la famiglia, nei luoghi di lavoro e dello svago, negli attraversamenti quotidiani. Donne costrette a tenere i fili (senza romperli) che costituiscono la trama di tante vite.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.