Se viene riconosciuto oggi come l’opera leopardiana superi il dissidio fra filosofia e poesia, e come vi concorrano idee di diversa provenienza fra le quali, moderna e decisiva, quella del negativo, del male e del nulla, si rammenta qui, ricostruendo un singolare e importante capitolo di storia della critica leopardiana, che a tale interpretazione si è giunti solo lentamente e per il tramite di leopardisti tuttora misconosciuti o fraintesi, fra i quali si distingue il caso toccante di Giovanni Amelotti (Venezia 1909-Sant’Ilario 1936). Filosofia del Leopardi (1937) e Il Leopardi maggiore (1939) sono i due testi postumi che documentano il programma amelottiano, eversivo quanto basta se si considera cosa significasse identificare filosofia e poesia all’interno del pensiero europeo (italiano, nella fattispecie) degli anni Trenta del Novecento. Amelotti vi sostiene infatti con impeto l’immagine di un Leopardi contemporaneamente grande poeta e grande pensatore, nonché poeta-pensatore del negativo e del male e in ciò stesso in conflitto radicale con il suo secolo. Ed è qui, nell’individuazione dell’unità del grande sistema di rappresentazione (la natura) in cui fra prosa e poesia prende evidenza l’unico tema (l’infelicità) dell’opera leopardiana, una delle più rilevanti intuizioni di Amelotti. Pertanto questo giovane pensatore dal destino intellettuale esposto alle prove di una brusca illuminazione non solamente seppe difendere, concentrato nel breve tempo che gli fu dato di vivere, il patrimonio della propria lucida coscienza ma giunse, altresì, a farlo lievitare in un discorso in equilibrio fra poesia e filosofia complessivamente in anticipo sui tempi, al quale gli studi leopardiani della seconda metà del Novecento devono forse molto più di quanto non dichiarino.

La grazia, il furore e il breve destino di Giovanni Amelotti, lettore di Leopardi / Farnetti, Monica. - (2008), pp. 140-156.

La grazia, il furore e il breve destino di Giovanni Amelotti, lettore di Leopardi

FARNETTI, Monica
2008-01-01

Abstract

Se viene riconosciuto oggi come l’opera leopardiana superi il dissidio fra filosofia e poesia, e come vi concorrano idee di diversa provenienza fra le quali, moderna e decisiva, quella del negativo, del male e del nulla, si rammenta qui, ricostruendo un singolare e importante capitolo di storia della critica leopardiana, che a tale interpretazione si è giunti solo lentamente e per il tramite di leopardisti tuttora misconosciuti o fraintesi, fra i quali si distingue il caso toccante di Giovanni Amelotti (Venezia 1909-Sant’Ilario 1936). Filosofia del Leopardi (1937) e Il Leopardi maggiore (1939) sono i due testi postumi che documentano il programma amelottiano, eversivo quanto basta se si considera cosa significasse identificare filosofia e poesia all’interno del pensiero europeo (italiano, nella fattispecie) degli anni Trenta del Novecento. Amelotti vi sostiene infatti con impeto l’immagine di un Leopardi contemporaneamente grande poeta e grande pensatore, nonché poeta-pensatore del negativo e del male e in ciò stesso in conflitto radicale con il suo secolo. Ed è qui, nell’individuazione dell’unità del grande sistema di rappresentazione (la natura) in cui fra prosa e poesia prende evidenza l’unico tema (l’infelicità) dell’opera leopardiana, una delle più rilevanti intuizioni di Amelotti. Pertanto questo giovane pensatore dal destino intellettuale esposto alle prove di una brusca illuminazione non solamente seppe difendere, concentrato nel breve tempo che gli fu dato di vivere, il patrimonio della propria lucida coscienza ma giunse, altresì, a farlo lievitare in un discorso in equilibrio fra poesia e filosofia complessivamente in anticipo sui tempi, al quale gli studi leopardiani della seconda metà del Novecento devono forse molto più di quanto non dichiarino.
2008
978-88-6266-072-3
La grazia, il furore e il breve destino di Giovanni Amelotti, lettore di Leopardi / Farnetti, Monica. - (2008), pp. 140-156.
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