I risultati conseguiti di volta in volta nei due capitoli di questa ricerca contribuisco a fornire una rinnovata visione della regolamentazione giuridica elaborata dagli edili curuli in materia di compravendita di schiavi. Dall’esame delle fonti è stato possibile ricostruire la progressiva evoluzione della dottrina dei giureconsulti romani sulla garanzia per i vizi nelle vendite di mancipia; fin dall’emanazione delle prime rubriche dell’editto de mancipiis emundis vendundis, giuristi manifestarono il loro interesse nei confronti della nuova disciplina edilizia interpretandone i principi, elaborando definitiones, emettendo responsa. Si tratta di una disciplina particolarmente evoluta, nella quale è possibile riscontrare le radici della moderna regolamentazione giuridica in materia di tutela dei consumatori, che tuttora si avvale degli antichi principi elaborati dagli edili in tema di azione redibitoria. Dalle testimonianze dei giuristi, degli autori antichi e dai dati contenuti nei documenti epigrafici emergono risultati che vale la pena evidenziare brevemente seguendo le tematiche considerate nel corso della ricerca. 1. Garanzia per vizi nello ius civile e nello ius honorarium Lo studio dei mezzi di tutela previsti dallo ius civile per garantire i compratori dagli atti di frode dei venditori di animali e di schiavi, derivanti dalla mancata dichiarazione di difetti e malattie o dalla promessa di qualità inesistenti, ha consentito di mostrare la portata innovatrice dell’intervento edilizio in materia di compravendita di schiavi. In questa prospettiva sono stati analizzati con particolare attenzione i formulari stipulatori di garanzia (elaborati da M. Manilio e da giuristi successivi), attestati dal De re rustica di Varrone come usuali nelle compravendite di animali; l’esegesi dei testi ha consentito di dimostrare come già in epoca maniliana, e quindi prima dell’emanazione dell’editto edilizio, anche nelle vendite di servi, invalse l’uso di vincolare il venditore a praestare garanzia attraverso stipulatio, al fine di garantire al compratore la possibilità di intentare l’actio ex stipulatu, nonché l’actio empti per ottenere l’id quod interest. Si trattava di una tutela giuridica che però non prevedeva una responsabilità generale ed oggettiva del venditor per la mancata dichiarazione dei vizi occulti dei servi oggetto di vendita. Tale tipo di responsabilità venne introdotta dagli edili curuli mediante l’emanazione dell’editto de mancipiis emundis vendundis e la concessione dell’actio redhibitoria che consentiva di ottenere la risoluzione del contratto di compravendita. È stato quindi affrontato e risolto il problema della datazione dell’intervento edilizio in tema di vendita di schiavi. L’esame di alcuni versi di Plauto (Rud. 373-374; Capt. 813-825; Merc. 416-419) ha consentito di stabilire che l’editto edilizio in materia di compravendita di servi era stato già emanato nell’epoca in cui visse il commediografo di Sarsina e che, dunque, gli edili in quel periodo avevano iniziato ad esplicare la loro attività sanzionatoria per i vizi della cosa venduta. Ne consegue che la data di emanazione dell’editto degli edili curuli deve essere collocata in data anteriore rispetto al 168 a.C., data tradizionalmente riconosciuta dalla dottrina (traendo la notizia da un brano di una orazione di Catone tenuta in occasione dell’emanazione della lex Voconia, riportato da Aulo Gellio nelle Notti Attiche). Dall’analisi comparativa del testo dell’editto degli edili curuli trascritto da Ulpiano in D. 21.1.1.1 e da Aulo Gellio (Noct. Att. 4.2.1) sono emerse alcune differenze testuali che suggeriscono di attribuire una diversa valenza alle due porzioni dell’editto. Dal testo gelliano, in cui si menziona l’obbligo per il venditor di redigere un cartello (titulus) con le caratteristiche del mancipium messo in vendita, si evince solo un obbligo a cui doveva ottemperare il venditore per mettere in vendita gli schiavi: il testo dell’editto tramandato da Gellio evoca, infatti, un contesto tipicamente mercantile, in cui la “merce umana” veniva esposta con il titulus indicante le caratteristiche più rilevanti dal punto di vista giuridico, come i vizi o la nazionalità, in maniera da consentire al compratore di scegliere facilmente lo schiavo da acquistare fra i tanti esposti. La parte dell’editto edilizio trascritta da Ulpiano, in cui si fa menzione solamente di una ‘palam recte pronuntiatio’ e, quindi, dell’obbligo da parte del venditore di dichiarare oralmente la presenza o l’assenza di vizi del servus oggetto di compravendita, a mio avviso ha una valenza completamente diversa; nel testo ulpianeo si fa riferimento alla fase di perfezionamento del contratto, cioè al momento giuridicamente rilevante per far sorgere in capo al venditore l’obbligazione di garanzia nei confronti del compratore. Il precetto edilizio inerente al ‘palam recte pronuntiare’ riguardava la contrattazione vera propria tra emptor e venditor e solo la dichiarazione dei vizi pronunciata palesemente, in maniera chiara e corretta, faceva sorgere in capo al venditore la responsabilità edilizia. 2. Si alii rei homo accedat L’ultima parte della ricerca ha riguardato il contenuto della rubrica edilizia si alii rei homo accedat, materia finora affrontato in maniera non esauriente dai precedenti studi; al fine di stabilire in quali casi fosse possibile applicare il dettato edilizio nei confronti degli schiavi venduti in qualità di accessorio di una res o di un servus. Si tratta di una problematica assai complessa che diede origine a numerose discussioni tra i giuristi romani, i quali avevano elaborato una casistica particolarmente ricca di fattispecie alle quali era possibile applicare o non applicare le regole edilizie in materia di vendite di servi in qualità di accessorio. Sono stati oggetto di indagine la vendita di un fundus il cui accessorio risultava costituito da uno o più servi; la vendita di un fundus con instrumentum in cui vi erano anche mancipia ed infine il trasferimento di un servus il cui accessorio era costituito da un peculio composto anche da vicarii. Riguardo alle singole fattispecie considerate sono emersi i seguenti risultati, che possono essere schematizzati come segue: A) Vendita del fundus con accessorio costituito da uno o più servi: a) gli edili curuli mediante la rubrica dell’editto ‘si alii rei homo accedat’ estesero l’applicabilità delle norme contenute nel loro editto anche ai casi di servi venduti al seguito di un bene; b) la rubrica edilizia ‘si alii rei homo accedat’, in un primo tempo, si limitava a regolare i soli rapporti di accessorietà tra res di minor valore e servi; successivamente, in epoca gaiana, fu applicata a tutti i rapporti di accessorietà tra res e homines, a prescindere dal valore economico dell’oggetto principale di compravendita; c) conseguentemente il venditore era tenuto a dichiarare malattie, difetti e vizi degli schiavi accessori, oppure a garantirne l’assenza, per non incorrere nell’esperimento dell’actio redhibitoria o dell’actio quanti minoris da parte del compratore ignaro; d) il venditor risultava obbligato sia in caso di dichiarazione specifica, sia nel caso avesse fatto generico riferimento agli confronti degli schiavi accessori. B) Vendita di un fundus con instrumentum costituto anche da mancipia e trasferimento di un servus il cui accessorio consisteva in un peculio composto anche da vicarii: a) considerata la qualificazione giuridica del peculio e dell’instrumentum, nonché il valore economico dell’operazione commerciale sotteso alla vendita del servus cum peculio (trasferimento dell’impresa a responsabilità limitata) e del fundus cum instrumento (trasferimento dell’impresa agricola), è stato dimostrato che non era possibile applicare le disposizioni edilizie nei confronti dei vicari ricompresi in peculio o dei servi che facevano parte dell’instrumentum; b) è stato dimostrato che solo ai tempi di Ulpiano divenne possibile, mediante accordo convenzionale tra le parti, derogare a queste disposizioni generali e quindi ritenere responsabile il venditore anche per la mancata dichiarazione dei vizi dei vicari ricompresi nel peculio e dei servi che facevano parte dell’instrumentum fundi.

“Qui mancipia vendunt, certiores faciant emptores”. Ricerche in tema di garanzia per vizi nella compravendita di schiavi / Ortu, Rosanna. - (2001), pp. XI-158.

“Qui mancipia vendunt, certiores faciant emptores”. Ricerche in tema di garanzia per vizi nella compravendita di schiavi

ORTU, Rosanna
2001-01-01

Abstract

I risultati conseguiti di volta in volta nei due capitoli di questa ricerca contribuisco a fornire una rinnovata visione della regolamentazione giuridica elaborata dagli edili curuli in materia di compravendita di schiavi. Dall’esame delle fonti è stato possibile ricostruire la progressiva evoluzione della dottrina dei giureconsulti romani sulla garanzia per i vizi nelle vendite di mancipia; fin dall’emanazione delle prime rubriche dell’editto de mancipiis emundis vendundis, giuristi manifestarono il loro interesse nei confronti della nuova disciplina edilizia interpretandone i principi, elaborando definitiones, emettendo responsa. Si tratta di una disciplina particolarmente evoluta, nella quale è possibile riscontrare le radici della moderna regolamentazione giuridica in materia di tutela dei consumatori, che tuttora si avvale degli antichi principi elaborati dagli edili in tema di azione redibitoria. Dalle testimonianze dei giuristi, degli autori antichi e dai dati contenuti nei documenti epigrafici emergono risultati che vale la pena evidenziare brevemente seguendo le tematiche considerate nel corso della ricerca. 1. Garanzia per vizi nello ius civile e nello ius honorarium Lo studio dei mezzi di tutela previsti dallo ius civile per garantire i compratori dagli atti di frode dei venditori di animali e di schiavi, derivanti dalla mancata dichiarazione di difetti e malattie o dalla promessa di qualità inesistenti, ha consentito di mostrare la portata innovatrice dell’intervento edilizio in materia di compravendita di schiavi. In questa prospettiva sono stati analizzati con particolare attenzione i formulari stipulatori di garanzia (elaborati da M. Manilio e da giuristi successivi), attestati dal De re rustica di Varrone come usuali nelle compravendite di animali; l’esegesi dei testi ha consentito di dimostrare come già in epoca maniliana, e quindi prima dell’emanazione dell’editto edilizio, anche nelle vendite di servi, invalse l’uso di vincolare il venditore a praestare garanzia attraverso stipulatio, al fine di garantire al compratore la possibilità di intentare l’actio ex stipulatu, nonché l’actio empti per ottenere l’id quod interest. Si trattava di una tutela giuridica che però non prevedeva una responsabilità generale ed oggettiva del venditor per la mancata dichiarazione dei vizi occulti dei servi oggetto di vendita. Tale tipo di responsabilità venne introdotta dagli edili curuli mediante l’emanazione dell’editto de mancipiis emundis vendundis e la concessione dell’actio redhibitoria che consentiva di ottenere la risoluzione del contratto di compravendita. È stato quindi affrontato e risolto il problema della datazione dell’intervento edilizio in tema di vendita di schiavi. L’esame di alcuni versi di Plauto (Rud. 373-374; Capt. 813-825; Merc. 416-419) ha consentito di stabilire che l’editto edilizio in materia di compravendita di servi era stato già emanato nell’epoca in cui visse il commediografo di Sarsina e che, dunque, gli edili in quel periodo avevano iniziato ad esplicare la loro attività sanzionatoria per i vizi della cosa venduta. Ne consegue che la data di emanazione dell’editto degli edili curuli deve essere collocata in data anteriore rispetto al 168 a.C., data tradizionalmente riconosciuta dalla dottrina (traendo la notizia da un brano di una orazione di Catone tenuta in occasione dell’emanazione della lex Voconia, riportato da Aulo Gellio nelle Notti Attiche). Dall’analisi comparativa del testo dell’editto degli edili curuli trascritto da Ulpiano in D. 21.1.1.1 e da Aulo Gellio (Noct. Att. 4.2.1) sono emerse alcune differenze testuali che suggeriscono di attribuire una diversa valenza alle due porzioni dell’editto. Dal testo gelliano, in cui si menziona l’obbligo per il venditor di redigere un cartello (titulus) con le caratteristiche del mancipium messo in vendita, si evince solo un obbligo a cui doveva ottemperare il venditore per mettere in vendita gli schiavi: il testo dell’editto tramandato da Gellio evoca, infatti, un contesto tipicamente mercantile, in cui la “merce umana” veniva esposta con il titulus indicante le caratteristiche più rilevanti dal punto di vista giuridico, come i vizi o la nazionalità, in maniera da consentire al compratore di scegliere facilmente lo schiavo da acquistare fra i tanti esposti. La parte dell’editto edilizio trascritta da Ulpiano, in cui si fa menzione solamente di una ‘palam recte pronuntiatio’ e, quindi, dell’obbligo da parte del venditore di dichiarare oralmente la presenza o l’assenza di vizi del servus oggetto di compravendita, a mio avviso ha una valenza completamente diversa; nel testo ulpianeo si fa riferimento alla fase di perfezionamento del contratto, cioè al momento giuridicamente rilevante per far sorgere in capo al venditore l’obbligazione di garanzia nei confronti del compratore. Il precetto edilizio inerente al ‘palam recte pronuntiare’ riguardava la contrattazione vera propria tra emptor e venditor e solo la dichiarazione dei vizi pronunciata palesemente, in maniera chiara e corretta, faceva sorgere in capo al venditore la responsabilità edilizia. 2. Si alii rei homo accedat L’ultima parte della ricerca ha riguardato il contenuto della rubrica edilizia si alii rei homo accedat, materia finora affrontato in maniera non esauriente dai precedenti studi; al fine di stabilire in quali casi fosse possibile applicare il dettato edilizio nei confronti degli schiavi venduti in qualità di accessorio di una res o di un servus. Si tratta di una problematica assai complessa che diede origine a numerose discussioni tra i giuristi romani, i quali avevano elaborato una casistica particolarmente ricca di fattispecie alle quali era possibile applicare o non applicare le regole edilizie in materia di vendite di servi in qualità di accessorio. Sono stati oggetto di indagine la vendita di un fundus il cui accessorio risultava costituito da uno o più servi; la vendita di un fundus con instrumentum in cui vi erano anche mancipia ed infine il trasferimento di un servus il cui accessorio era costituito da un peculio composto anche da vicarii. Riguardo alle singole fattispecie considerate sono emersi i seguenti risultati, che possono essere schematizzati come segue: A) Vendita del fundus con accessorio costituito da uno o più servi: a) gli edili curuli mediante la rubrica dell’editto ‘si alii rei homo accedat’ estesero l’applicabilità delle norme contenute nel loro editto anche ai casi di servi venduti al seguito di un bene; b) la rubrica edilizia ‘si alii rei homo accedat’, in un primo tempo, si limitava a regolare i soli rapporti di accessorietà tra res di minor valore e servi; successivamente, in epoca gaiana, fu applicata a tutti i rapporti di accessorietà tra res e homines, a prescindere dal valore economico dell’oggetto principale di compravendita; c) conseguentemente il venditore era tenuto a dichiarare malattie, difetti e vizi degli schiavi accessori, oppure a garantirne l’assenza, per non incorrere nell’esperimento dell’actio redhibitoria o dell’actio quanti minoris da parte del compratore ignaro; d) il venditor risultava obbligato sia in caso di dichiarazione specifica, sia nel caso avesse fatto generico riferimento agli confronti degli schiavi accessori. B) Vendita di un fundus con instrumentum costituto anche da mancipia e trasferimento di un servus il cui accessorio consisteva in un peculio composto anche da vicarii: a) considerata la qualificazione giuridica del peculio e dell’instrumentum, nonché il valore economico dell’operazione commerciale sotteso alla vendita del servus cum peculio (trasferimento dell’impresa a responsabilità limitata) e del fundus cum instrumento (trasferimento dell’impresa agricola), è stato dimostrato che non era possibile applicare le disposizioni edilizie nei confronti dei vicari ricompresi in peculio o dei servi che facevano parte dell’instrumentum; b) è stato dimostrato che solo ai tempi di Ulpiano divenne possibile, mediante accordo convenzionale tra le parti, derogare a queste disposizioni generali e quindi ritenere responsabile il venditore anche per la mancata dichiarazione dei vizi dei vicari ricompresi nel peculio e dei servi che facevano parte dell’instrumentum fundi.
2001
9788834809433
“Qui mancipia vendunt, certiores faciant emptores”. Ricerche in tema di garanzia per vizi nella compravendita di schiavi / Ortu, Rosanna. - (2001), pp. XI-158.
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