Il saggio esplora il ruolo svolto dalla rivista Interiors nella diffusione della cultura progettuale italiana negli USA e nella costruzione dell’immagine postbellica del made in Italy. Dopo l’acquisto nel 1940 da parte di Charles Whitney, Interiors dà avvio a un processo di rinnovamento che ne determina il passaggio da rivista di arredamento tradizionale a uno dei più influenti periodici americani di architettura e design. Protagonisti della trasformazione sono una serie di designer e architetti italiani, o legati alla cultura italiana, che a metà Novecento si avvicendano alla sua direzione artistica: Costantino Nivola (1940-1945), Bernard Rudofsky (1945-1949), Roberto Mango (1951-1954), Aldo Giurgola (1952-1957). Non si tratta di presenze sparse ma di un network tenuto insieme da relazioni personali e di lavoro. Nivola e Rudofsky sono amici e collaboratori (nella mostra del MoMA Are clothes modern? e nel giardino di casa Nivola a Long Island); vicini a Nivola sono anche Mango, che nel 1950 disegna l’allestimento per la mostra dell’artista alla Tibor de Nagy gallery e per suo tramite entra in contatto con il di lui mentore Le Corbusier, e Giurgola. L’influenza di queste figure non resta circoscritta alla grafica, ma incide sul posizionamento del mensile tra i diversi fronti del design americano, quello di un modernismo “umanizzato” sostenuto tra gli altri da Walter D. Teague, quello purista del MoMA e delle mostre del “Good Design”, nonché, nel 1953, quello nazionalista-conservatore aperto da Elizabeth Gordon su House Beautiful. Mentre l’impatto dell’“Italian Renaissance” si coglie sulla totalità del periodico, dagli articoli alle lettere e alla pubblicità, due servizi esemplificano l’orientamento sul “caso” italiano, il primo realizzato nel 1948 da Rudofsky con un’introduzione di George Nelson, il secondo curato nel 1952 da Roberto Mango con testi di Olga Guelft. Dall’uno all’altro si coglie il passaggio dallo shock iniziale della scoperta del design italiano all’assestarsi della sua ricezione col crescere delle importazioni. Nel 1948 prevale una visione generale del fenomeno in chiave di povertà, severità ed economia di mezzi, come brillante reazione creativa alla crisi postbellica; nel 1952 il focus si restringe su otto protagonisti, tra cui spiccano i BBPR, Carlo Mollino e soprattutto Gio Ponti, grande assente dalla ricognizione precedente, mentre la lettura insiste ora sul tema di una felice conciliazione degli opposti, in equilibrio tra lusso e semplicità ed equidistante dal tradizionalismo e dal minimalismo. L’interesse per l’Italia tocca il culmine tra il 1951 e il 1954, tra la Nona e la Decima Triennale di Milano, assunte come fari dalla rivista che dedica loro due numeri speciali. Dopodiché la presenza dei designer italiani comincia a diminuire, mentre i riferimenti all’Italia persistono ma virano verso la tradizione (ne è spia lo spazio dedicato a una ditta di antiquariato e mobili “in stile” come Dinolevi), infiltrando capillarmente anche la pubblicità di ditte americane. Da metà decennio, la rivista comincia a predicare un’apertura eclettica a tutte le tendenze, registrando nel contempo la trasformazione del design statunitense, divenuto più vivace ed espressivo grazie all’assimilazione della lezione italiana così come di quella scandinava.
At first a stimulus, later an influence. Interiors e l’Italia, 1947-1957 / Averna, M; Altea, G; Montanari, E; Serrazanetti, F; Morone, A; Vacirca, L; Arrighi, L; Rostagni, C; Pirola, M; Camarda, A; Gunetti, L; Lenzini, F; Lecce, C; Bosoni, G; Cecchi, Me; De Pascalis, Ia; Faggella, C; Gatti, G; Dellapiana, E. - 1:(2023), pp. 33-57. (Intervento presentato al convegno The Italian Presence in Postwar America. Architecture, Design, Fashion, 1949-1972 tenutosi a Milano, Politecnico nel 7-9 aprile 2022).
At first a stimulus, later an influence. Interiors e l’Italia, 1947-1957
Altea, G;Rostagni, C;
2023-01-01
Abstract
Il saggio esplora il ruolo svolto dalla rivista Interiors nella diffusione della cultura progettuale italiana negli USA e nella costruzione dell’immagine postbellica del made in Italy. Dopo l’acquisto nel 1940 da parte di Charles Whitney, Interiors dà avvio a un processo di rinnovamento che ne determina il passaggio da rivista di arredamento tradizionale a uno dei più influenti periodici americani di architettura e design. Protagonisti della trasformazione sono una serie di designer e architetti italiani, o legati alla cultura italiana, che a metà Novecento si avvicendano alla sua direzione artistica: Costantino Nivola (1940-1945), Bernard Rudofsky (1945-1949), Roberto Mango (1951-1954), Aldo Giurgola (1952-1957). Non si tratta di presenze sparse ma di un network tenuto insieme da relazioni personali e di lavoro. Nivola e Rudofsky sono amici e collaboratori (nella mostra del MoMA Are clothes modern? e nel giardino di casa Nivola a Long Island); vicini a Nivola sono anche Mango, che nel 1950 disegna l’allestimento per la mostra dell’artista alla Tibor de Nagy gallery e per suo tramite entra in contatto con il di lui mentore Le Corbusier, e Giurgola. L’influenza di queste figure non resta circoscritta alla grafica, ma incide sul posizionamento del mensile tra i diversi fronti del design americano, quello di un modernismo “umanizzato” sostenuto tra gli altri da Walter D. Teague, quello purista del MoMA e delle mostre del “Good Design”, nonché, nel 1953, quello nazionalista-conservatore aperto da Elizabeth Gordon su House Beautiful. Mentre l’impatto dell’“Italian Renaissance” si coglie sulla totalità del periodico, dagli articoli alle lettere e alla pubblicità, due servizi esemplificano l’orientamento sul “caso” italiano, il primo realizzato nel 1948 da Rudofsky con un’introduzione di George Nelson, il secondo curato nel 1952 da Roberto Mango con testi di Olga Guelft. Dall’uno all’altro si coglie il passaggio dallo shock iniziale della scoperta del design italiano all’assestarsi della sua ricezione col crescere delle importazioni. Nel 1948 prevale una visione generale del fenomeno in chiave di povertà, severità ed economia di mezzi, come brillante reazione creativa alla crisi postbellica; nel 1952 il focus si restringe su otto protagonisti, tra cui spiccano i BBPR, Carlo Mollino e soprattutto Gio Ponti, grande assente dalla ricognizione precedente, mentre la lettura insiste ora sul tema di una felice conciliazione degli opposti, in equilibrio tra lusso e semplicità ed equidistante dal tradizionalismo e dal minimalismo. L’interesse per l’Italia tocca il culmine tra il 1951 e il 1954, tra la Nona e la Decima Triennale di Milano, assunte come fari dalla rivista che dedica loro due numeri speciali. Dopodiché la presenza dei designer italiani comincia a diminuire, mentre i riferimenti all’Italia persistono ma virano verso la tradizione (ne è spia lo spazio dedicato a una ditta di antiquariato e mobili “in stile” come Dinolevi), infiltrando capillarmente anche la pubblicità di ditte americane. Da metà decennio, la rivista comincia a predicare un’apertura eclettica a tutte le tendenze, registrando nel contempo la trasformazione del design statunitense, divenuto più vivace ed espressivo grazie all’assimilazione della lezione italiana così come di quella scandinava.I documenti in IRIS sono protetti da copyright e tutti i diritti sono riservati, salvo diversa indicazione.