Il saggio racconta l’esperienza svolta insieme a Studio Azzurro nella progettazione del Mater: un particolarissimo museo di archeologia e del territorio situato nel territorio di Mamoiada, un piccolo comune della Sardegna centrale. In questa esperienza attraverso l’uso di strumenti multimediali e la costruzione di un opera relazionale e interattiva si è lavorato per costruire non un luogo contemplativo, ma una vera e propria “centrale di produzione di conoscenza memoriale e immaginativa” Premesse e obbiettivi La creazione di questo particolare dispositivo è nata con l’intento di offrire degli strumenti attraverso cui riannodare quel rapporto vitale tra uomo comunità e territorio che ha prodotto l’unicità di questo contesto. E’ attraverso le relazioni che nella storia gli uomini, hanno intessuto creativamente con il proprio ambiente di vita che hanno preso infatti forma le qualità di questo paesaggio. Qualità che oggi appaiono essere profondamente rimesse in discussione dai processi di “scollamento” e di “slegamento” indotti dai fenomeni di modernizzazione e di globalizzazione che hanno investito naturalmente non solo il territorio di Mamoiada. A seguito di questi processi l’abbandono del territorio e la profonda trasformazione della società contadina e pastorale hanno infatti fatto scomparire un bagaglio di tradizioni, pratiche, usi, saperi dell’esperienza, ma anche miti, riti, simboli sogni, valori attraverso cui il territorio veniva plasmato e reso significante. Il rapporto simbiotico che la comunità intesseva con proprio ambiente di vita si è spezzato. E il territorio da cosmo di cui sentirsi parte è diventato suolo, superficie sterile e inanimata. La creazione del museo parte dal presupposto che, dopo questa grande fase di spaesamento diventi sempre più urgente costruire nuove mappe di senso che ci consentano di marcare lo spazio di nuovi significati, di trasformare questo territorio che sentiamo estraneo, in un cosmo nuovo in cui tornare a riconoscerci e sentirci parte. In questo lavoro di “ritessitura di senso” riaprire quei segni o quei luoghi della memoria, che la storia ha depositato sul territorio, può allora acquisire un ruolo importante. Questi segni costituiscono infatti una fantastica scrittura da decifrare. Scrittura che nelle sue pieghe più nascoste può aiutarci a riscoprire che il territorio è un “ambiente intelligente” intessuto di affetti, di proiezioni, di concetti e di simboli, che le generazioni vissute prima di noi ci hanno lasciato e di cui oggi dobbiamo, appunto, reimparare a prenderci cura. Far parlare le pietre: il ruolo dei linguaggi dell’arte e della poesia Tra questi segni che la storia ha depositato sul territorio a Mamoiada ce ne sono alcuni che acquistano un significato molto particolare. Si tratta di una serie di eccezionali menhir, in parte riportati alla luce in questi anni. Queste pietre misteriose rimaste mute, come dei liuti silenziosi che nessuno sa far più suonare, sono situate in luoghi sperduti del territorio comunale, in siti paesaggistici talvolta eccezionali. Sono li: ci indicano che qualcuno le ha lasciate, ma ben poco sappiamo con certezza del loro ruolo e del loro significato. La loro presenza silenziosa attende come direbbe Agamben “un maestro che impari a suonarle”; qualcuno che le faccia parlare. Essa richiama mondi lontani, evoca storie possibili. E’ per alimentare questa curiosità e questa meraviglia che nasce questo museo. Il suo scopo non vuole essere infatti quello di costruire un luogo di conservazione, in cui attraverso i linguaggi tecnici e specialistici, proporre una conoscenza descrittiva e classificatoria della storia di queste pietre, ma piuttosto un luogo pulsante in cui suscitare sorpresa e stupore, in cui spingere il viaggiatore, dopo averlo stimolato con la memoria, l’immaginazione e la fantasia, a rimettersi in viaggio per interrogare dal vivo il “mana” di queste pietre e rintracciarne sul territorio il loro possibile senso; ma anche per intrecciare questi materiali della memoria con i bisogni che attraversano il sentire contemporaneo. Non un museo dunque in cui avere delle teorie da difendere, ma semmai un luogo in cui provare a suggerire, facendo ricorso da un lato alle ricerche storico-archeologiche e contemporaneamente ai linguaggi dell’arte e della poesia, i possibili significati che le “pietre fitte” hanno assunto all’interno della costruzione dell’unicità di questo territorio. Un museo fragile e poetico dunque: una sorta di fiamma, di soffio che cerca di illuminare, di evocare, di suggerire con delicatezza; il cui compito non vuole essere quello di dire l’ultima parola, ma semmai di spingere oltre la conoscenza. E insieme di costruire degli strumenti capaci di spingere ad andare oltre l'ovvio e il banale delle descrizioni oggettive e generalizzanti – che pietrificano e riducono il territorio ad una mera collezione di oggetti inanimati e inerti – per trovare strumenti nuovi in grado di renderlo vivo. Dispositivi capaci di riabituarci a prestare orecchio alla voce inascoltata delle cose e di farci rinvenire in esse quell'aura che ce le avvicina pur mantenendole a distanza; in grado di sviluppare “l'attitudine alla contemplazione non di ciò che c'è ma di ciò che manca”, di costruire ponti tra visibile ed invisibile, di custodire il mistero dell'eccedenza dei significati, l'esuberanza della realtà che mai interamente potrà essere svelata. Ma anche di coinvolgere, così come accadeva nelle antiche cerimonie rituali, in una vera e propria esperienza interattiva, relazionale e conviviale, le persone che vivono e abitano all’interno del territorio, sostituendo lo sguardo e la mente disincarnata dello spettatore con l’esperienza viva dei corpi e l’intelligenza delle emozioni . La scelta di una prospettiva anacronistica e il coinvolgimento della comunità Per mettere in piedi questo particolare si è scelto di utilizzare una chiave interpretativa anacronistica che ci potesse consentire di illuminare il significato di quelle pietre antichissime attraverso un confronto analogico con un luogo ancora “parlante”, che ha per molti aspetti continua a svolgere ancora oggi, seppur in forme evidentemente mutate, una funzione simile a quella degli antichi menhir: il Santuario di San Cosimo. Un particolarissimo recinto sacro che si trova nel territorio di Mamoiada, in cui una volta l’anno, grazie al rinnovarsi di una festa particolarissima che dura nove giorni il presente sembra riannodarsi, in un baleno, ad un passato antichissimo. E’ stata proprio questa analogia fra il significato degli antichi menhir e la funzione sopravvivente nel santuario di san Cosimo a suggerire la chiave interpretativa attraverso cui provare far parlare e illuminare poeticamente il significato di quelle stesse pietre . Per riuscire a cogliere questa analogie si è deciso di lavorare, attraverso accostamenti non lineari fra le diverse temporalità utilizzando strumenti multimediali e linguaggi diversificati. In particolare si è lavorato per coinvolgere in una vera e propria opera relazionale di rammemorazione collettiva l’intera comunità mamoiadina. Attraverso una lunga serie di interviste, visite sul territorio, raccolta di antiche foto e di vecchi video si è riusciti a non solo a rievocare il significato profondo di questa festa che ripropone in una chiave anacronistica le funzioni dei più antichi luoghi di culto, ma anche a ricostruire le antiche modalità di costruzione dei territori e del paesaggio, la tessitura dei nomi e dei racconti che popolano il territorio, i percorsi invisibili delle antiche transumanze che continuano a ripercorrere gli antichi sentieri. E’ emerso un territorio vissuto, un mondo animato popolato di vite e di storie che continua a vivere nella mente delle persone, ma anche un fitto tessuto di sogni e di speranze e di indizi che indicano strade promettenti e possibili perché la popolazione possa riappropriarsi in nuove forme progettuali e creative dello stesso territorio. Un materiale ricchissimo che solo in parte è confluito in questo primo nucleo del museo ma che ha già fornito materiali per alimentare una conoscenza in progress del territorio di cui il museo dovrà costituire l’elemento generatore.

L'esperienza del MATer di Mamoiada / Decandia, Lidia. - (2016), pp. 81-99.

L'esperienza del MATer di Mamoiada

DECANDIA, Lidia
2016-01-01

Abstract

Il saggio racconta l’esperienza svolta insieme a Studio Azzurro nella progettazione del Mater: un particolarissimo museo di archeologia e del territorio situato nel territorio di Mamoiada, un piccolo comune della Sardegna centrale. In questa esperienza attraverso l’uso di strumenti multimediali e la costruzione di un opera relazionale e interattiva si è lavorato per costruire non un luogo contemplativo, ma una vera e propria “centrale di produzione di conoscenza memoriale e immaginativa” Premesse e obbiettivi La creazione di questo particolare dispositivo è nata con l’intento di offrire degli strumenti attraverso cui riannodare quel rapporto vitale tra uomo comunità e territorio che ha prodotto l’unicità di questo contesto. E’ attraverso le relazioni che nella storia gli uomini, hanno intessuto creativamente con il proprio ambiente di vita che hanno preso infatti forma le qualità di questo paesaggio. Qualità che oggi appaiono essere profondamente rimesse in discussione dai processi di “scollamento” e di “slegamento” indotti dai fenomeni di modernizzazione e di globalizzazione che hanno investito naturalmente non solo il territorio di Mamoiada. A seguito di questi processi l’abbandono del territorio e la profonda trasformazione della società contadina e pastorale hanno infatti fatto scomparire un bagaglio di tradizioni, pratiche, usi, saperi dell’esperienza, ma anche miti, riti, simboli sogni, valori attraverso cui il territorio veniva plasmato e reso significante. Il rapporto simbiotico che la comunità intesseva con proprio ambiente di vita si è spezzato. E il territorio da cosmo di cui sentirsi parte è diventato suolo, superficie sterile e inanimata. La creazione del museo parte dal presupposto che, dopo questa grande fase di spaesamento diventi sempre più urgente costruire nuove mappe di senso che ci consentano di marcare lo spazio di nuovi significati, di trasformare questo territorio che sentiamo estraneo, in un cosmo nuovo in cui tornare a riconoscerci e sentirci parte. In questo lavoro di “ritessitura di senso” riaprire quei segni o quei luoghi della memoria, che la storia ha depositato sul territorio, può allora acquisire un ruolo importante. Questi segni costituiscono infatti una fantastica scrittura da decifrare. Scrittura che nelle sue pieghe più nascoste può aiutarci a riscoprire che il territorio è un “ambiente intelligente” intessuto di affetti, di proiezioni, di concetti e di simboli, che le generazioni vissute prima di noi ci hanno lasciato e di cui oggi dobbiamo, appunto, reimparare a prenderci cura. Far parlare le pietre: il ruolo dei linguaggi dell’arte e della poesia Tra questi segni che la storia ha depositato sul territorio a Mamoiada ce ne sono alcuni che acquistano un significato molto particolare. Si tratta di una serie di eccezionali menhir, in parte riportati alla luce in questi anni. Queste pietre misteriose rimaste mute, come dei liuti silenziosi che nessuno sa far più suonare, sono situate in luoghi sperduti del territorio comunale, in siti paesaggistici talvolta eccezionali. Sono li: ci indicano che qualcuno le ha lasciate, ma ben poco sappiamo con certezza del loro ruolo e del loro significato. La loro presenza silenziosa attende come direbbe Agamben “un maestro che impari a suonarle”; qualcuno che le faccia parlare. Essa richiama mondi lontani, evoca storie possibili. E’ per alimentare questa curiosità e questa meraviglia che nasce questo museo. Il suo scopo non vuole essere infatti quello di costruire un luogo di conservazione, in cui attraverso i linguaggi tecnici e specialistici, proporre una conoscenza descrittiva e classificatoria della storia di queste pietre, ma piuttosto un luogo pulsante in cui suscitare sorpresa e stupore, in cui spingere il viaggiatore, dopo averlo stimolato con la memoria, l’immaginazione e la fantasia, a rimettersi in viaggio per interrogare dal vivo il “mana” di queste pietre e rintracciarne sul territorio il loro possibile senso; ma anche per intrecciare questi materiali della memoria con i bisogni che attraversano il sentire contemporaneo. Non un museo dunque in cui avere delle teorie da difendere, ma semmai un luogo in cui provare a suggerire, facendo ricorso da un lato alle ricerche storico-archeologiche e contemporaneamente ai linguaggi dell’arte e della poesia, i possibili significati che le “pietre fitte” hanno assunto all’interno della costruzione dell’unicità di questo territorio. Un museo fragile e poetico dunque: una sorta di fiamma, di soffio che cerca di illuminare, di evocare, di suggerire con delicatezza; il cui compito non vuole essere quello di dire l’ultima parola, ma semmai di spingere oltre la conoscenza. E insieme di costruire degli strumenti capaci di spingere ad andare oltre l'ovvio e il banale delle descrizioni oggettive e generalizzanti – che pietrificano e riducono il territorio ad una mera collezione di oggetti inanimati e inerti – per trovare strumenti nuovi in grado di renderlo vivo. Dispositivi capaci di riabituarci a prestare orecchio alla voce inascoltata delle cose e di farci rinvenire in esse quell'aura che ce le avvicina pur mantenendole a distanza; in grado di sviluppare “l'attitudine alla contemplazione non di ciò che c'è ma di ciò che manca”, di costruire ponti tra visibile ed invisibile, di custodire il mistero dell'eccedenza dei significati, l'esuberanza della realtà che mai interamente potrà essere svelata. Ma anche di coinvolgere, così come accadeva nelle antiche cerimonie rituali, in una vera e propria esperienza interattiva, relazionale e conviviale, le persone che vivono e abitano all’interno del territorio, sostituendo lo sguardo e la mente disincarnata dello spettatore con l’esperienza viva dei corpi e l’intelligenza delle emozioni . La scelta di una prospettiva anacronistica e il coinvolgimento della comunità Per mettere in piedi questo particolare si è scelto di utilizzare una chiave interpretativa anacronistica che ci potesse consentire di illuminare il significato di quelle pietre antichissime attraverso un confronto analogico con un luogo ancora “parlante”, che ha per molti aspetti continua a svolgere ancora oggi, seppur in forme evidentemente mutate, una funzione simile a quella degli antichi menhir: il Santuario di San Cosimo. Un particolarissimo recinto sacro che si trova nel territorio di Mamoiada, in cui una volta l’anno, grazie al rinnovarsi di una festa particolarissima che dura nove giorni il presente sembra riannodarsi, in un baleno, ad un passato antichissimo. E’ stata proprio questa analogia fra il significato degli antichi menhir e la funzione sopravvivente nel santuario di san Cosimo a suggerire la chiave interpretativa attraverso cui provare far parlare e illuminare poeticamente il significato di quelle stesse pietre . Per riuscire a cogliere questa analogie si è deciso di lavorare, attraverso accostamenti non lineari fra le diverse temporalità utilizzando strumenti multimediali e linguaggi diversificati. In particolare si è lavorato per coinvolgere in una vera e propria opera relazionale di rammemorazione collettiva l’intera comunità mamoiadina. Attraverso una lunga serie di interviste, visite sul territorio, raccolta di antiche foto e di vecchi video si è riusciti a non solo a rievocare il significato profondo di questa festa che ripropone in una chiave anacronistica le funzioni dei più antichi luoghi di culto, ma anche a ricostruire le antiche modalità di costruzione dei territori e del paesaggio, la tessitura dei nomi e dei racconti che popolano il territorio, i percorsi invisibili delle antiche transumanze che continuano a ripercorrere gli antichi sentieri. E’ emerso un territorio vissuto, un mondo animato popolato di vite e di storie che continua a vivere nella mente delle persone, ma anche un fitto tessuto di sogni e di speranze e di indizi che indicano strade promettenti e possibili perché la popolazione possa riappropriarsi in nuove forme progettuali e creative dello stesso territorio. Un materiale ricchissimo che solo in parte è confluito in questo primo nucleo del museo ma che ha già fornito materiali per alimentare una conoscenza in progress del territorio di cui il museo dovrà costituire l’elemento generatore.
2016
88-366-3380-3 -
L'esperienza del MATer di Mamoiada / Decandia, Lidia. - (2016), pp. 81-99.
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Utilizza questo identificativo per citare o creare un link a questo documento: https://hdl.handle.net/11388/165159
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