Nos últimos anos verifica-se um fenómeno crescente de feminização das emigrações, que assumiu características e significados diferentes em relação ao modelo tradicional da migração masculina e que muitas vezes modificou por completo as relações de género pré-existentes. O caso das migrações cabo-verdianas da ilha de Santo Antão, no arquipélago cabo-verdiano, é um exemplo deste facto. A ilha de Santo Antão fazia parte de um modelo tradicional de migração, no qual os homens migravam e as mulheres ficavam em casa a ocupar-se da família e da economia doméstica. Nos últimos anos, contudo, as coisas mudaram e quem migra hoje são sobretudo as mulheres. Este fenómeno provocou mudanças importantes dentro da sociedade cabo--verdiana, seja do ponto de vista económico, dado que grande parte da economia informal e formal (remessas, objectos para revenda nos lugares de origem, actividades turísticas e comerciais abertas pelos emigrantes retornados) passa através destas mulheres, seja do ponto de vista da identidade cultural, uma vez que comporta a renegociação dos relacionamentos de género, das relações entre as mulhe- res que emigram e as mulheres que ficam, dos modelos culturais e económicos preexistentes. Quando voltam ao lugar de origem, estas mulheres, mais autónomas e independentes, «encenam» a sua nova identidade introduzindo novos valores e propondo novos modos de ser mulher. De facto, as mulheres que viajam introduzem «inovações». Trazendo ou enviando para casa novos objectos, introduzindo novas tecnologias, novas modas, novos modelos de feminilidade e novas relações de género, tornam-se mediadoras culturais entre o lugar de origem e o mundo externo, por um lado, e entre gerações, por outro. A mobilidade confere prestígio, poder económico e poder de inovação. Gostaria em especial de acentuar as relações complexas e ambíguas que se estabelecem entre as mulheres migrantes e as mulheres que ficam no lugar de origem. As emigrantes, quando voltam de férias, representam um modo de ser mulher que atrai muito as que não emigram, porque encarnam um modelo de ideal feminino. Em simultâneo, as mulheres que ficam gostariam de ser como elas mas, encontrando-se impossibilitadas de realizar tal desejo, desenvolvem sentimentos contrastantes em relação a quem partiu: ciúmes, inveja, orgulho, sentimento de inferioridade. O reverso disto é as emigrantes sentirem por parte das que permanecem uma atitude ambígua: sentem-se tratadas de maneira diferente, às vezes como estranhas, mas ao mesmo tempo cheias de obrigações e expectativas, ocupando assim uma difícil posição de insider/outsider. Este ensaio é parte de uma pesquisa de três anos levada a cabo para o meu doutoramento em Antropologia Cultural. De 2001 a 2003 vivi permanentemente em Ponta do Sol, uma pequena vila de pescadores na ponta mais ocidental da ilha de Santo Antão, focando a minha pesquisa nas mudanças dos modelos de feminilidade e das relações de género em três gerações de mulheres e sua relação com os processos da globalização. Através da análise de algumas histórias de vida e de entrevistas de tipo qualitativo, tentarei ilustrar as complicadas dinâmicas e as relações materiais e simbólicas que se estabelecem entre as mulheres que migram e aquelas que ficam.

Negli ultimi anni si assiste ad un fenomeno sempre maggiore di femminilizzazione delle migrazioni indipendenti che ha assunto caratteristiche e significati diversi rispetto al modello tradizionale di migrazione maschile, spesso stravolgendo le relazioni di genere preesistenti. Il caso delle migranti capoverdiane dell’isola di Santo Antão è esemplare a questo proposito. L’isola di Santo Antão faceva parte di un modello tradizionale di migrazione, in cui gli uomini migravano e le donne restavano a casa occupandosi della famiglia e dell’economia domestica. Negli ultimi anni, tuttavia, le cose sono cambiate e a migrare oggi sono soprattutto le donne. Questo fenomeno ha provocato importanti cambiamenti all’interno della società capoverdiana, sia dal punto di vista economico, in quanto gran parte dell’economia informale e formale (rimesse, oggetti da rivendere al luogo d’origine, attività turistiche e commerciali aperte dalle migranti di ritorno) passa attraverso queste donne, sia da quello culturale-identitario, in quanto esso comporta la rinegoziazione dei rapporti di genere, delle relazioni tra donne che emigrano e donne che restano, dei modelli culturali ed economici preesistenti. Quando ritornano nel luogo d’origine queste donne più autonome e indipendenti, mettono in scena la loro nuova identità introducendo nuovi valori e proponendo nuovi modi di essere donna. Le donne che viaggiano, infatti, introducono “innovazione”. Portando o mandando a casa nuovi oggetti, introducendo nuove tecnologie, nuove mode, nuovi modelli di femminilità e nuove relazioni di genere, diventano le mediatrici culturali tra luogo d’origine e il mondo esterno da una parte e tra generazioni dall’altra. La mobilità conferisce dunque un prestigio, un potere economico e un potere di innovazione. In particolar modo vorrei porre l’accento sulle relazioni complesse ed ambigue che si instaurano tra donne migranti e donne che rimangono al luogo d’origine. Le emigranti, quando ritornano per le vacanze, mettono in scena un modo di essere donne particolarmente attraente per quelle che rimangono, agli occhi delle quali sembrano incarnare la realizzazione del loro modello femminile ideale. Nello stesso tempo le donne che rimangono vorrebbero essere come loro, ma, nell’impossibilità di realizzare tale desiderio, sviluppano sentimenti contrastanti verso chi è partito: gelosia, invidia, orgoglio, senso d’inferiorità. Specularmente le emigranti percepiscono da parte di chi rimane un atteggiamento ambiguo: si sentono trattate in modo diverso, a volte come delle estranee, ma nello stesso tempo caricate di obblighi ed aspettative, occupando così una posizione complessa di insider/outsider. Questo saggio è parte di una ricerca di tre anni che ho svolto a Capo Verde, per il mio dottorato in Antropologia Culturale. Dal 2001 al 2003 ho vissuto permanentemente a Ponta do Sol, un piccolo paese di pescatori sulla punta più occidentale dell’isola di Santo Antão, focalizzando la mia indagine sui cambiamenti intercorsi nei modelli di femminilità e nelle relazioni di genere in tre generazioni di donne e sulla relazione di questi cambiamenti con i processi di globalizzazione. Attraverso l’analisi di alcune storie di vita e di interviste di tipo qualitativo cercherò di mettere in luce le complesse dinamiche tra donne che migrano e donne che restano al luogo d’origine e le loro relazioni materiali e simboliche.

Mulheres que ficam e mulheres que migram: dinamicas duma relaçao complexa na ilha de Santo Antao (Cabo Verde) / Giuffre', Martina. - (2007), pp. 193-215.

Mulheres que ficam e mulheres que migram: dinamicas duma relaçao complexa na ilha de Santo Antao (Cabo Verde)

GIUFFRE', Martina
2007-01-01

Abstract

Negli ultimi anni si assiste ad un fenomeno sempre maggiore di femminilizzazione delle migrazioni indipendenti che ha assunto caratteristiche e significati diversi rispetto al modello tradizionale di migrazione maschile, spesso stravolgendo le relazioni di genere preesistenti. Il caso delle migranti capoverdiane dell’isola di Santo Antão è esemplare a questo proposito. L’isola di Santo Antão faceva parte di un modello tradizionale di migrazione, in cui gli uomini migravano e le donne restavano a casa occupandosi della famiglia e dell’economia domestica. Negli ultimi anni, tuttavia, le cose sono cambiate e a migrare oggi sono soprattutto le donne. Questo fenomeno ha provocato importanti cambiamenti all’interno della società capoverdiana, sia dal punto di vista economico, in quanto gran parte dell’economia informale e formale (rimesse, oggetti da rivendere al luogo d’origine, attività turistiche e commerciali aperte dalle migranti di ritorno) passa attraverso queste donne, sia da quello culturale-identitario, in quanto esso comporta la rinegoziazione dei rapporti di genere, delle relazioni tra donne che emigrano e donne che restano, dei modelli culturali ed economici preesistenti. Quando ritornano nel luogo d’origine queste donne più autonome e indipendenti, mettono in scena la loro nuova identità introducendo nuovi valori e proponendo nuovi modi di essere donna. Le donne che viaggiano, infatti, introducono “innovazione”. Portando o mandando a casa nuovi oggetti, introducendo nuove tecnologie, nuove mode, nuovi modelli di femminilità e nuove relazioni di genere, diventano le mediatrici culturali tra luogo d’origine e il mondo esterno da una parte e tra generazioni dall’altra. La mobilità conferisce dunque un prestigio, un potere economico e un potere di innovazione. In particolar modo vorrei porre l’accento sulle relazioni complesse ed ambigue che si instaurano tra donne migranti e donne che rimangono al luogo d’origine. Le emigranti, quando ritornano per le vacanze, mettono in scena un modo di essere donne particolarmente attraente per quelle che rimangono, agli occhi delle quali sembrano incarnare la realizzazione del loro modello femminile ideale. Nello stesso tempo le donne che rimangono vorrebbero essere come loro, ma, nell’impossibilità di realizzare tale desiderio, sviluppano sentimenti contrastanti verso chi è partito: gelosia, invidia, orgoglio, senso d’inferiorità. Specularmente le emigranti percepiscono da parte di chi rimane un atteggiamento ambiguo: si sentono trattate in modo diverso, a volte come delle estranee, ma nello stesso tempo caricate di obblighi ed aspettative, occupando così una posizione complessa di insider/outsider. Questo saggio è parte di una ricerca di tre anni che ho svolto a Capo Verde, per il mio dottorato in Antropologia Culturale. Dal 2001 al 2003 ho vissuto permanentemente a Ponta do Sol, un piccolo paese di pescatori sulla punta più occidentale dell’isola di Santo Antão, focalizzando la mia indagine sui cambiamenti intercorsi nei modelli di femminilità e nelle relazioni di genere in tre generazioni di donne e sulla relazione di questi cambiamenti con i processi di globalizzazione. Attraverso l’analisi di alcune storie di vita e di interviste di tipo qualitativo cercherò di mettere in luce le complesse dinamiche tra donne che migrano e donne che restano al luogo d’origine e le loro relazioni materiali e simboliche.
2007
978-972-671-194-0
Nos últimos anos verifica-se um fenómeno crescente de feminização das emigrações, que assumiu características e significados diferentes em relação ao modelo tradicional da migração masculina e que muitas vezes modificou por completo as relações de género pré-existentes. O caso das migrações cabo-verdianas da ilha de Santo Antão, no arquipélago cabo-verdiano, é um exemplo deste facto. A ilha de Santo Antão fazia parte de um modelo tradicional de migração, no qual os homens migravam e as mulheres ficavam em casa a ocupar-se da família e da economia doméstica. Nos últimos anos, contudo, as coisas mudaram e quem migra hoje são sobretudo as mulheres. Este fenómeno provocou mudanças importantes dentro da sociedade cabo--verdiana, seja do ponto de vista económico, dado que grande parte da economia informal e formal (remessas, objectos para revenda nos lugares de origem, actividades turísticas e comerciais abertas pelos emigrantes retornados) passa através destas mulheres, seja do ponto de vista da identidade cultural, uma vez que comporta a renegociação dos relacionamentos de género, das relações entre as mulhe- res que emigram e as mulheres que ficam, dos modelos culturais e económicos preexistentes. Quando voltam ao lugar de origem, estas mulheres, mais autónomas e independentes, «encenam» a sua nova identidade introduzindo novos valores e propondo novos modos de ser mulher. De facto, as mulheres que viajam introduzem «inovações». Trazendo ou enviando para casa novos objectos, introduzindo novas tecnologias, novas modas, novos modelos de feminilidade e novas relações de género, tornam-se mediadoras culturais entre o lugar de origem e o mundo externo, por um lado, e entre gerações, por outro. A mobilidade confere prestígio, poder económico e poder de inovação. Gostaria em especial de acentuar as relações complexas e ambíguas que se estabelecem entre as mulheres migrantes e as mulheres que ficam no lugar de origem. As emigrantes, quando voltam de férias, representam um modo de ser mulher que atrai muito as que não emigram, porque encarnam um modelo de ideal feminino. Em simultâneo, as mulheres que ficam gostariam de ser como elas mas, encontrando-se impossibilitadas de realizar tal desejo, desenvolvem sentimentos contrastantes em relação a quem partiu: ciúmes, inveja, orgulho, sentimento de inferioridade. O reverso disto é as emigrantes sentirem por parte das que permanecem uma atitude ambígua: sentem-se tratadas de maneira diferente, às vezes como estranhas, mas ao mesmo tempo cheias de obrigações e expectativas, ocupando assim uma difícil posição de insider/outsider. Este ensaio é parte de uma pesquisa de três anos levada a cabo para o meu doutoramento em Antropologia Cultural. De 2001 a 2003 vivi permanentemente em Ponta do Sol, uma pequena vila de pescadores na ponta mais ocidental da ilha de Santo Antão, focando a minha pesquisa nas mudanças dos modelos de feminilidade e das relações de género em três gerações de mulheres e sua relação com os processos da globalização. Através da análise de algumas histórias de vida e de entrevistas de tipo qualitativo, tentarei ilustrar as complicadas dinâmicas e as relações materiais e simbólicas que se estabelecem entre as mulheres que migram e aquelas que ficam.
Mulheres que ficam e mulheres que migram: dinamicas duma relaçao complexa na ilha de Santo Antao (Cabo Verde) / Giuffre', Martina. - (2007), pp. 193-215.
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