La ricerca ha preso le mosse dalla reazione delle cancellerie imperiali dei successori di Costantino alla tanto discussa e probabilmente autentica costituzione, C.Sirm. 1, con la quale l’imperatore, nel 333, stabilì che nelle contese civili si poteva ricorrere alla decisione del vescovo anche su iniziativa di una sola parte, ed anche contro il volere dell’altra, trasformando l’arbitrato del capo spirituale della comunità, da sempre in uso fra i cristiani, in vera e propria giurisdizione. Si è così esaminata la complessa ed articolata disciplina classica dell’arbitrato ex compromisso, mostrando quali modificazioni questa disciplina abbia subito in età postclassica e giustinianea, e se questa disciplina, o quanto di essa, trovasse applicazione nel contesto dell’arbitrato del vescovo. Per l’età postclassica, non sono state tramandate disposizioni che riguardassero in modo specifico l’arbitrato, se non con riferimento da un lato alla prassi diffusa nella comunità ebraica di rivolgersi al proprio patriarca per la soluzione di controversie civili, tema per altro ancora dibattuto in dottrina, e d’altro lato all’attività nella stessa direzione dei vescovi. Per quanto attiene all’età giustinianea, nel 529 e nel 530, Giustiniano emanò due costituzioni, tramandate in C. 2.55(56).4 e in C. 2.55(56).5, ispirate ad un criterio di fondo, quello dell’economia dei mezzi processuali, in virtù del quale nelle più diverse ipotesi di compromesso arbitrale si tende a dare validità alla sentenza dell’arbitro e a favorirne per quanto possibile l’esecuzione, senza arrivare tuttavia a sancirne l’esecutorietà. Per fare ciò si sovvertono i principi classici, che finiscono per trovare applicazione solo nell’ipotesi di compromesso senza giuramenti e senza poena compromissi, che abbia dato origine ad una sentenza arbitrale disconosciuta da almeno una delle parti entro dieci giorni dalla sua emanazione. Nel 539 Giustiniano tornò sul tema dell’arbitrato con la Nov. 82, al capitolo undicesimo, dove, ancora una volta sembra di poter cogliere la stessa tendenza di fondo evidenziata per gli interventi del 530-531: volontà di garantire per quanto possibile l’osservanza della sentenza arbitrale, e rendere almeno costoso, se non impossibile, il ricorso ad altro giudice. Nelle successive fonti bizantine sono riportate tanto la disciplina classica quanto le riforme giustinianee, quindi non appaiono risolte le tensioni che si erano prodotte in età giustinianea. La ricerca ha poi esaminato l’episcopalis audientia nelle fonti postclassiche, giustinianee e bizantine, per concludersi con l’analisi delle fonti patristiche, da cui risulta che la prassi di rivolgersi al vescovo per la soluzione di contese civili era diffusa, e non soltanto fra i cristiani. Il ricorso per le cause civili all’episcopalis audientia ebbe un grande sviluppo per i vantaggi di snellezza e celerità che l’istituto offriva, rispetto ai costi e le lungaggini del processo ordinario. Sembra potersi concludere, almeno per le fonti esaminate, che quando le parti in una contesa civile intendevano rivolgersi al vescovo si dava luogo ad un arbitrato, ai fini del quale le stesse parti si accordavano con un compromissum. Il compromesso serviva ad esprimere l’accordo di sottomettere la lite all’arbitro, appunto nella persona del vescovo; serviva inoltre con ogni probabilità a definire i termini della contesa, e a manifestare il reciproco impegno a rispettare la sentenza arbitrale, senza necessità di alcuna promessa formale, né di giuramento o di previsione di pena.

Episcopalis audientia e arbitrato / Rinolfi, Cristiana Maria Anastasia. - (2010), pp. 191-239.

Episcopalis audientia e arbitrato

RINOLFI, Cristiana Maria Anastasia
2010-01-01

Abstract

La ricerca ha preso le mosse dalla reazione delle cancellerie imperiali dei successori di Costantino alla tanto discussa e probabilmente autentica costituzione, C.Sirm. 1, con la quale l’imperatore, nel 333, stabilì che nelle contese civili si poteva ricorrere alla decisione del vescovo anche su iniziativa di una sola parte, ed anche contro il volere dell’altra, trasformando l’arbitrato del capo spirituale della comunità, da sempre in uso fra i cristiani, in vera e propria giurisdizione. Si è così esaminata la complessa ed articolata disciplina classica dell’arbitrato ex compromisso, mostrando quali modificazioni questa disciplina abbia subito in età postclassica e giustinianea, e se questa disciplina, o quanto di essa, trovasse applicazione nel contesto dell’arbitrato del vescovo. Per l’età postclassica, non sono state tramandate disposizioni che riguardassero in modo specifico l’arbitrato, se non con riferimento da un lato alla prassi diffusa nella comunità ebraica di rivolgersi al proprio patriarca per la soluzione di controversie civili, tema per altro ancora dibattuto in dottrina, e d’altro lato all’attività nella stessa direzione dei vescovi. Per quanto attiene all’età giustinianea, nel 529 e nel 530, Giustiniano emanò due costituzioni, tramandate in C. 2.55(56).4 e in C. 2.55(56).5, ispirate ad un criterio di fondo, quello dell’economia dei mezzi processuali, in virtù del quale nelle più diverse ipotesi di compromesso arbitrale si tende a dare validità alla sentenza dell’arbitro e a favorirne per quanto possibile l’esecuzione, senza arrivare tuttavia a sancirne l’esecutorietà. Per fare ciò si sovvertono i principi classici, che finiscono per trovare applicazione solo nell’ipotesi di compromesso senza giuramenti e senza poena compromissi, che abbia dato origine ad una sentenza arbitrale disconosciuta da almeno una delle parti entro dieci giorni dalla sua emanazione. Nel 539 Giustiniano tornò sul tema dell’arbitrato con la Nov. 82, al capitolo undicesimo, dove, ancora una volta sembra di poter cogliere la stessa tendenza di fondo evidenziata per gli interventi del 530-531: volontà di garantire per quanto possibile l’osservanza della sentenza arbitrale, e rendere almeno costoso, se non impossibile, il ricorso ad altro giudice. Nelle successive fonti bizantine sono riportate tanto la disciplina classica quanto le riforme giustinianee, quindi non appaiono risolte le tensioni che si erano prodotte in età giustinianea. La ricerca ha poi esaminato l’episcopalis audientia nelle fonti postclassiche, giustinianee e bizantine, per concludersi con l’analisi delle fonti patristiche, da cui risulta che la prassi di rivolgersi al vescovo per la soluzione di contese civili era diffusa, e non soltanto fra i cristiani. Il ricorso per le cause civili all’episcopalis audientia ebbe un grande sviluppo per i vantaggi di snellezza e celerità che l’istituto offriva, rispetto ai costi e le lungaggini del processo ordinario. Sembra potersi concludere, almeno per le fonti esaminate, che quando le parti in una contesa civile intendevano rivolgersi al vescovo si dava luogo ad un arbitrato, ai fini del quale le stesse parti si accordavano con un compromissum. Il compromesso serviva ad esprimere l’accordo di sottomettere la lite all’arbitro, appunto nella persona del vescovo; serviva inoltre con ogni probabilità a definire i termini della contesa, e a manifestare il reciproco impegno a rispettare la sentenza arbitrale, senza necessità di alcuna promessa formale, né di giuramento o di previsione di pena.
2010
9788878473317
Episcopalis audientia e arbitrato / Rinolfi, Cristiana Maria Anastasia. - (2010), pp. 191-239.
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